Open-access L’Aurora del sebastianismo: le fonti profetiche dell’encuberto

The dawn of Sebastianism: the prophetic sources of encobert

A aurora do sebastianismo: as fontes proféticas do Encuberto

Astratto

La genesi dottrinale del sebastianismo è spesso riportata completamente all’interno della cultura popolare portoghese: si ritiene che D. João de Castro, inventore della leggenda del re redivivo, avrebbe rimodellato la figura dell’Encuberto assumendola dalle Trovas di Bandarra, calzolaio di Trancoso. In verità, la retorica dell’Encuberto risulta diffusa nella penisola iberica ben prima delle Trovas. D. João stesso ne segnala altri due “preannunci”, nel Vespertilio profetizzato da Arnaldo da Villanova e nel Sol obscuratus dell’Oracolo di Cirillo. Più in generale, l’articolo intende contribuire alla conoscenza della vasta biblioteca profetica e messianica di D. João, e mostrare così che la leggenda di D. Sebastião nasce e si sviluppa alla confluenza di molteplici tradizioni circolanti nell’Occidente europeo a partire dall’Alto Medioevo.

Parole chiave: Sebastianismo; Encuberto; Messianismo; Oracolo di Cirillo

Abstract

The doctrinal origin of Sebastianism is often ascribed entirely within Portuguese popular culture. It is believed that D. João de Castro, inventor of the legend of the revived king, would have remodeled the figure of the Encuberto by taking it from the Trovas by Bandarra, a shoemaker from Trancoso. In fact, the rhetoric of the Encuberto was widespread in the Iberian Peninsula long before the Trovas. D. João himself points out two other “announcements”, in the Vespertilio prophesied by Arnald of Villanova, and in the Sol obscuratus of the Oracle of Cyrill. More generally, this article intends to contribute to the knowledge of the vast prophetic and messianic library of D. João, and thus to show that the legend of D. Sebastião was born and developed at the confluence of multiple traditions circulating in Western Europe starting from the early Middle Ages.

Keywords: D; João de Castro; Sebastianism; Encuberto; Messianism; Oracle of Cyril

Resumo

A gênese doutrinária do sebastianismo é muitas vezes traçada inteiramente na cultura popular portuguesa. Nessa perspectiva, acredita-se que D. João de Castro, inventor da lenda do rei redimido, reformulou a figura do Encuberto retirando-a das Trovas de Bandarra, sapateiro de Trancoso. Na verdade, a retórica do Encuberto está difundida na Península Ibérica muito antes das Trovas. O próprio D. João aponta dois outros "pré-anúncios", no Morcego profetizado por Arnau de Vilanova e no Sol obscuratus do Oráculo de Cirilo. Em termos mais gerais, o artigo pretende contribuir para o conhecimento da vasta biblioteca profética e messiânica de D. João e, assim, mostrar que a lenda de D. Sebastião nasceu e se desenvolveu na confluência de múltiplas tradições que circulavam na Europa Ocidental desde o início da Idade Média.

Palavras-chave: D; João de Castro; Sebastianismo; Encuberto; Messianismo; Oráculo de Cirilo

Contudo quem podera negar a alegria que a Aurora tras quando começa, e a graça que tudo reçebe com ella? Vese desapareçer a escuridão pouco a pouco: as sombras pareçe que fogem (…) Da mesma maneira he esta Alvorada antes da saida desse Sol Encuberto

D. João de Castro, A Aurora da Quinta Monarquia

La disfatta e la leggenda

La repentina scomparsa in battaglia del re D. Sebastião (1578 nel Marocco), ebbe implicazioni gravi per il Portogallo.1 Lo zio che ne prese il posto, il cardinale D. Henrique, unico fratello sopravvissuto di D. João III (1521-1557), nonno di D. Sebastião, regnò meno di due anni. Nel 1580 la reggenza fu quindi temporaneamente assunta da una giunta di cinque membri. I pretendenti alla successione erano diversi. La rivendicava D. Antonio, nipote illegittimo di D. Manuel I (1495-1521) e priore di Crato, sede del quartiere generale portoghese dell’Ordine degli Ospitalieri di S. Giovanni. Si opponeva a lui Filippo II di Spagna, pretendente al trono in quanto a sua volta nipote di D. Manuel per parte di madre. Proclamatosi re, D. Antonio sulla terraferma durò trentatré giorni: già in agosto era sconfitto da un esercito spagnolo comandato dal duca d’Alba (Serrão, 1956). Filippo II veniva quindi incoronato re del Portogallo con il titolo di Filippo I (marzo 1581) (Valladares, 2010). D. Antonio aveva inizialmente trovato rifugio nelle Azzorre. Riuscì a fuggirne nel 1583, per poi trascorrere gli ultimi anni in esilio, fra Parigi e Londra, rappresentando fino alla morte (1595) il principale referente degli espatriati antispagnoli. In Portogallo la reazione all’annessione prese vigore lentamente, la cacciata degli Asburgo e l’insediamento della nuova dinastia dei Bragança avverrà solo nel 1640.

A quanto si tramandava, il corpo di D. Sebastião non era stato rinvenuto dopo la battaglia. Nel ventennio successivo alla sua scomparsa diversi individui si presentarono come il sovrano redivivo, in carne ed ossa. Impostori e forse mitomani, le cui vicende contribuirono però a far credere che il sovrano potesse essere ancora vivo e stesse per ritornare a riprendersi il regno.2 La nostalgia per il giovane re sparito nel nulla veniva così trasformata in potenziale fattore di mobilitazione ideale e di speranza rivolta al futuro. Nasceva quel complesso di attese dottrinali e profezie messianiche che vanno sotto il nome di sebastianismo.

Il fenomeno presenta interessanti analogie con quanto era accaduto intorno alla figura dell’imperatore Federico II di Svevia, improvvisamente scomparso in Puglia durante una battuta di caccia (1250). Il cronista francescano Salimbene documenta l’incredulità sua e di altri al diffondersi della notizia, del tutto inattesa (entro ambienti impregnati di profetismo gioachimita e sensibili a calcoli apocalittici ci si aspettava che dovesse vivere ancora almeno un decennio), cui prestò fede solo quando gli fu confermata dalla viva voce del papa. Negli anni successivi, diversi impostori avevano tentato di inserirsi nel vuoto lasciato da Federico II, spacciandosi per lui. Intrecciata e sovrapposta a tali apparizioni, prese forma la leggenda dell’imminente avvento di un “terzo Federico”, un imperatore dei tempi finali destinato, per il terrore degli uni e le speranze degli altri, a completare l’opera del defunto.3

D. João de Castro (1550? - 1628?) fu il principale, inesausto artefice della leggenda sebastianista. A quanto racconta nell’autobiografia, scritta in tarda età (1623), in quanto figlio illegittimo di un figlio di un viceré delle Indie era stato accolto nel collegio dei gesuiti di Evora, ma prima come “studente povero”, poi come collegiale mantenuto da un modesto assegno ecclesiastico.4 Dopo la scomparsa di D. Sebastião, si schiera a sostegno del priore di Crato, combatte per lui nella battaglia di Alcântara, lo segue nelle Azzorre, poi in esilio a Parigi e a Londra; se ne distacca infine polemicamente, lamentando l’insufficiente sostegno economico ricevuto da lui. Dal 1587 è a Parigi, sempre in ristrettezze economiche.5 Sostenuto dal risentimento nei confronti di D. Antonio, lascia intendere che le sue rivendicazioni sono del tutto infondate, in quanto - afferma - D. Sebastião è ancora vivo, prigioniero da qualche parte, ed è destinato a tornare presto. Per annunciare tale messaggio dà quindi il via a un’imponente produzione letteraria espressamente rivolta contro l’usurpatore spagnolo, di fatto in polemica contro la pretesa del priore di Crato, e poi dei suoi discendenti, di sostituirsi al sovrano legittimo di cui attende il ritorno.6

Il sebastianismo è stato generalmente considerato come una vicenda tutta interna alla cultura e alle società luso-brasiliane: dalla sua presunta “preistoria”, individuata nei componimenti poetici noti come Trovas de Bandarra, fino alla predicazione di p. Antonio Vieira e agli ultimi fuochi nel Nordeste brasiliano, dove tra fine XIX e inizi del XX secolo il celebre p. Cicero dette vita a Canudos all’esperienza di Belo Monte. Per sostanziare la leggenda sebastianista, D. João si volse però ben oltre i confini letterari del Portogallo, recuperando e aggiornando tradizioni celebrative e dottrine profetiche e messianiche che ancor oggi non risultano messe in piena luce. La leggenda va dunque liberata dalla prospettiva storiografica che, nell’offrire del sebastianismo un’immagine di solitaria eccezionalità quasi fosse un fenomeno del tutto a sé stante, resta prigioniera del “mito”, e così in fondo lo ravviva. Questo contributo vorrebbe al contrario mostrare che il discorso via via costruito da D. João de Castro si fonda sulla rivisitazione di un vasto patrimonio di testi profetico-messianici sedimentatosi nell’Occidente europeo a partire dall’Alto medioevo e variamente riutilizzato in funzione celebrativa e propagandistica nell’Europa dei secoli XVI e XVII. La questione della misura e delle modalità di assunzione da parte sua di tale patrimonio è stata finora sottovalutata da chi ha insistito sulle Trovas di Bandarra come unico suo riferimento dottrinale. In realtà, come vedremo, i riferimenti sono molteplici; d’altronde, alle spalle delle stesse Trovas, composte negli anni ’30 del secolo XVI da un calzolaio di Trancoso, non vi sono solo tradizioni orali e correnti di messianismo giudaico, spesso evocate in termini generici e vaghi, bensì una tradizione profetico-messianica iberica ben determinata, le cui origini remote risalgono agli inizi del secolo XIV.

Da quinta e ultima Monarquia futura e le sue fonti

D. João lasciò una produzione letteraria imponente, comprendente in tutto ventidue codici manoscritti conservati a Lisbona nella Biblioteca Nacional de Portugal (segnature da 4371 a 4392); solo una parte dei suoi scritti è disponibile a stampa.7

La prima opera - ancora priva di riferimenti profetici - fu scritta a Parigi nel 1588.8 A quanto si legge al termine del manoscritto olografo, il trattato Da quinta e ultima Monarquia futura fu composto in portoghese (con ampi passi trascritti in latino) a Parigi nel 1597. Ne esiste anche una versione latina (De Quinta et ultima Monarchia Futura rebusque admirandis nostri temporis) presumibilmente allestita in una fase successiva, accresciuta nel 1601 e terminata nel 1606.9 Dopo una prefazione in cui rivendica la propria missione, l’autore precisa il valore del dono della profezia, elencando all’inizio dell’opera una serie di profeti biblici e postbiblici. Il titolo dell’opera si riferisce alla celebre statua sognata da Nabucodonosor (cf. Dan 2), tradizionalmente interpretata come figura del succedersi dei quattro grandi imperi del mondo, mentre la pietra staccatasi dal monte e destinata ad abbatterla significherebbe il quinto e ultimo impero, la monarchia universale che sta per irrompere. Dopo aver spiegato il significato del sogno e la sua piena attualità, D. João argomenta che la quinta monarchia non spetta alla Francia e tanto meno alla Spagna, bensì al Portogallo, divinamente destinato alla missione di abbattere il dominio musulmano nel mondo. Infine sostiene che il monarca universale dei tempi finali sarà D. Sebastião, il cui ritorno è imminente.

Il sovrano atteso è presentato come l’Encuberto: colui che, rimasto a lungo nell’ombra, ricompare improvvisamente per riprendersi la scena. Per tale identificazione il riferimento primario per D. João è certamente costituito dalle Trovas di Bandarra, di cui riporta ampi passi.10 Il calzolaio di Trancoso aveva evocato l’Encuberto per celebrare in forma appena velata il sovrano allora vivente, D. João III. In Da quinta e ultima Monarquia futura la celebrazione viene riferita a D. Sebastião. Insieme e accanto alle Trovas, per la leggenda dell’Encuberto D. João si richiama alle Copras de foam de Sanct Isidoro.11 Il testo è meglio noto come Coplas de Pedro de Frias, ovvero come Prophecias de Santo Isidoro, arcebispo de Sevilha, feitas em verso por frei Pedro de Frias, dirigidas ao Imperador Carlos 5°. Queste sono a loro volta una rielaborazione in versi del Planto de España falsamente attribuito a Isidoro di Siviglia, che nel VII secolo avrebbe previsto la sofferenza della Spagna ad opera dei Mori e il suo successivo riscatto.12

L’Encuberto prima di Bandarra e dello Pseudo-Isidoro

I due testi cui D. João esplicitamente si richiama nel Da quinta e ultima Monarquia futura non sono peraltro gli unici che abbiano evocato l’Encuberto (Encubierto in castigliano, Encobert in catalano) nella penisola iberica dal secolo XV in poi. Nella tradizione manoscritta, il Planto de España risulta talvolta unito al Libro de la Venguda de l’Antichrist di un non meglio identificato Joan Alemany (anche detto Johan Alamany o Juan Unay), che vi si presenta come “dell’ordine del S. Spirito”. 13 Joan Alemany è il pioniere dell’annuncio dell’Encobert, che presenta come figura destinata ad operare d’intesa con un nuovo Davide. L’Encubert distruggerà mori di Spagna, giudei e nemici della fede di Cristo; procederà insieme al nuovo Davide eletto da Dio, ovvero con il papa angelico cui darà forza e aiuto; a sua volta, questi gli darà sostegno, e insieme sosterranno i cristiani nella vittoria contro i musulmani. Superate le colonne d’Ercole, l’Encobert si spingerà fino a Gerusalemme e di lì fino a Costantinopoli, alla Germania e all’Italia, giungendo infine, sempre insieme al nuovo Davide, a Roma.

La costruzione della retorica dell’Encuberto avviene dunque prima di Bandarra e fuori dallo spazio geografico e culturale portoghese, ad opera dello Pseudo-Isidoro e di Joao Alamany. La data di composizione dell’opera di quest’ultimo non può essere definita con precisione.14 Le principali fasi di utilizzo di essa in funzione di propaganda e di lotta politico-militare sono però ben determinabili. Si tratta da un lato della campagna per la conquista di Malaga, Granada e Ronda (iniziata nel 1482 e conclusa nel 1492), in relazione alla quale il re Ferdinando il Cattolico viene celebrato come l’Encobert destinato a cacciare i mori dalla penisola iberica;15 dall’altro dei moti rivoluzionari legati alle Germanies di Valencia, dove la celebrazione è riformulata in vista di un imminente liberatore destinato a uscire dal buio (profezia performativa: nel 1520 si manifestò davvero lì un uomo mascherato che si presentò pubblicamente come l’Encobert, e finì male).16

La ragione per cui Joan Alemany (e con lui lo Pseudoisidoro) attribuisce il peculiare nome di Encobert al sovrano messianico dei tempi finali è spiegata da Alonso de Jaén, autore dai tratti biografici incerti, proveniente da Granada ma residente a Valencia, morto nel 1490 (Duran-Requesens, 1997, p. 149). Nel suo Espejo del mundo, iniziato tra il 1468 e il 1469 e rimasto incompiuto, Alonso celebra Ferdinando il Cattolico trattando a lungo dell’Encubierto. Per il suo contenuto mi riferisco al Ms. 273 della Biblioteca de Catalunya (Barcelona), accessibile online.17 Dopo aver richiamato la profezia della statua di Nabucodonosor e lo Pseudometodio (Ms. 273, f. 20r), cita espressamente la profezia Ve mundo in centum annis (Ms. 273, ff. 11r e 37v-38r) e l’Oraculum Cyrilli (Ms. 273, f. 16r), dichiarando che alcuni chiamano l’atteso sovrano vespertilion, altri el encubierto, altri leon coronado (Ms. 273, f. 19r, 20r, 68v): nomi diversi per indicare un unico soggetto, colui che nella Sibilla Tiburtina è indicato come il rex grecorum (Ms. 273, f. 71r). L’Encubert di cui parla Joan Alemany coincide dunque con il pipistrello, “che sta nascosto tutto il giorno, e non esce fino alla notte”,18 ossia con il vespertilio prospettato per la prima volta nella profezia Ve mundo in centum annis. Posta in circolazione da Arnaldo da Villanova nel 1301, essa era nata dalla rielaborazione di un annuncio profetico più remoto, variamente rimodellato dalla metà del XIII secolo in poi, per designare sia soggetti messianici sia figure anticristiche.19

La biblioteca profetica di D. João

Nell’opera di D. João de Castro la dottrina dell’ultimo sovrano del mondo non è consegnata solamente al profilo dell’Encuberto recuperato da Bandarra e dallo Pseudoisidoro, ma è sorretta dal ricorso a un patrimonio imponente di testi profetici. Spiccano fra questi innanzi tutto Gioacchino da Fiore, di cui enumera ordinatamente le tre opere principali (Commento all’Apocalisse, preceduto dal Liber Introductorius, Concordia del Nuovo e dell’Antico Testamento, Salterio delle dieci corde);20 le Rivelazioni dello Pseudometodio;21 la Sibilla Tiburtina;22 gli pseudogioachimiti Commento a Geremia23 e Commento a Isaia24; la Sibilla Eritea;25 i Vaticini papali illustrati;26 la Lettera di Merlino sui papi;27 l’Oracolo di Cirillo;28 il Liber de Flore;29 l’Horoscopus;30 il Libellus di Telesforo da Cosenza;31 le Rivelazioni di Brigida di Svezia32 e diversi altri, fino ai moderni J. Lichtenberg e G. Postel. D. João evoca e utilizza questi testi in maniera appropriata e funzionale al proprio disegno. Non si tratta di una semplice sfilza di titoli adunati per profumare l’opera con una spruzzatina profetica. Essi servono a proiettare l’attesa del revenant su di una tela consistente e variopinta. L’atteso sovrano “vive e non vive” (Sibilla Eritea), sta per risvegliarsi come un ubriaco dal sonno (Pseudometodio), è destinato ad essere l’imperatore del mondo (Sibilla Tiburtina) e a completare il suo percorso regnando in armonia con un futuro papa angelico (Liber de Flore, Horoscopus, Telesforo).

Le puntuali trascrizioni di ampi passi documentano una conoscenza notevole di un patrimonio di riferimenti profetici che, ampiamente circolanti nell’Europa tra XV e XVI secolo, avevano goduto di notevole attenzione in special modo al tempo di Carlo V e di Francesco I, ciascuno dei quali celebrato ai tempi suoi come il monarca chiamato ad adempiere le antiche promesse di impero universale.33 In questo senso, nulla di particolarmente originale, se non la pretesa da parte di D. João di riferirli alla figura di D. Sebastião.

L’unico aggiornamento di qualche interesse riguarda l’utilizzo dell’Oracolo di Cirillo, profezia criptica riguardante in origine la storia politico-militare ed ecclesiastica degli ultimi decenni del ‘200. Importante per la vasta fortuna dell’opera era stato l’interesse per essa presso ambienti sia francescani sia carmelitani, spinti questi ultimi a valorizzare l’oracolo in quanto si proponeva come una rivelazione angelica trasmessa a un Cirillo eremita del Monte Carmelo. Tracce dell’Oraculum ricompaiono ad ogni incrocio profetico e messianico dei secoli XIV e XV. L’edizione critica pubblicata oltre un secolo fa da P. Piur fu condotta su di una base manoscritta molto esigua e come tale non è affidabile (Briefwechsel, 1912). L’opera è in effetti un prodotto composito, comprendente diversi elementi, non sempre presenti in tutti i manoscritti. Nel formato più ampio e più diffuso comprende una Premessa (pseudoepigrafica) del teologo «Gilbertus anglicus»; una Lettera (pseudoepigrafica) del «presbitero Cirillo», eremita del Monte Carmelo, che racconta la genesi dell’oracolo; una Lettera (pseudoepigrafica) dell’abate Gioacchino, in risposta a Cirillo, che lo avrebbe interpellato per chiarimenti sul testo oracolare; il Testo vero e proprio, ovvero il core dell’Oraculum; il relativo Commento, presentato anch’esso come opera di Gioacchino.

Non è questa la sede per affrontare estesamente il contenuto del Testo. Basterà limitare lo sguardo al primo dei suoi capitoli, in quanto presenta i maggiori motivi di interesse per comprenderne l’utilizzo da parte di D. João de Castro. Esso ha per protagonista un individuo allusivamente indicato come il «Sole». A lui si contrappone lo «Scorpione» (Briefwechsel, 1912, p. 251). Nel Testo il Sole deve affrontare e superare una serie di avversità, fra cui un periodo di prigionia da cui riuscirà infine a essere liberato. Nel cap. 1 (quello su cui si appunta l’interesse di D. João) è perciò detto “sol obumbratus”, ovvero - precisa DE CASTRO, 1597 - “sol encuberto” (c. XV, f. 37). L’Oracolo di Cirillo è dunque, accanto alle Trovas e alle Copras, la terza autorità profetica posta al servizio della propaganda sebastianista in quanto preannuncio dell’Encuberto.

L’aurora di un giorno pieno di sole

Tra la primavera e l’estate 1598 compare a Venezia un nuovo sedicente D. Sebastião. La notizia si sparge, emissari del governo spagnolo ed esiliati portoghesi, tra cui un figlio del priore di Crato, accorrono per accertarne l’identità. Si trattava in effetti di un impostore, il calabrese Marco Antonio Catizone, incapace di parlare portoghese e niente affatto somigliante al re scomparso vent’anni prima. Fra i portoghesi giunti a Venezia c’è D. João, che, nonostante le evidenze in senso opposto, si convince immediatamente di avere davanti a sé il sovrano tanto atteso. Agli inizi del 1601 D. João è di nuovo Parigi per diffondere la notizia, chiede udienza al re di Francia e scrive al re d’Inghilterra per convincerli. Subito dopo si reca clandestinamente in Portogallo per propagandare la buona novella e rianimare così la resistenza antispagnola. La ripresa e l’intensificazione della sua produzione letteraria mirano in questa fase fondamentalmente a tale scopo.34

Tornato a Parigi, all’inizio del 1602 comincia a scrivere il Discurso da vida do Rey Dom Sebastiam.35 La biografia in buona parte immaginaria del sovrano mitizzato, la cui ricomparsa dopo quasi vent’anni veniva proiettata in prospettiva cristologica, ebbe ampia e immediata diffusione in Portogallo. Nel contempo D. João produce una serie di scritti polemici e apologetici volti contro il partito del defunto D. Antonio. La sorte di Catizone però stava precipitando. Espulso da Venezia, era stato arrestato a Firenze e trasferito in carcere nel viceregno spagnolo di Napoli. Dichiarato reo confesso, veniva condannato al carcere a vita (maggio 1602). Ad evitare rischi, poco dopo fu trasferito in Spagna e nuovamente processato con l’accusa di aver mantenuto rapporti con fuoriusciti portoghesi. Condannato a morte, fu impiccato il 27 settembre 1603 (Petrucci, 1979).

Venuto meno il creduto D. Sebastião, D. João, lungi dall’abbandonare il suo disegno, si impegnò ad adattarlo alla nuova situazione. Risale alla fine del 1603 la prima edizione a stampa della sua Parafrasi delle Trovas di Bandarra, frutto di un lavoro di revisione selettiva, mirante a dare il massimo rilievo ai passaggi utili a rilanciare la leggenda: un’operazione editoriale che di fatto ha poi contribuito ad accentuare agli occhi della storiografia la rilevanza delle Trovas come fattore genetico e principale riferimento dottrinale per il sebastianismo.

Negli anni seguenti e fino alla morte D. João continuò imperterrito a tenere viva l’attenzione sul re scomparso, con una produzione che alla lunga contribuirà ad irrobustire l’identità della nazione portoghese attraverso la trasfigurazione della sua sconfitta - un caso in fondo non così isolato né paradossale nella storia dell’Occidente europeo. Risale al biennio iniziato nel 1604 l’opera sua più ambiziosa, A Aurora da Quinta Monarchia. Il titolo si spiega alla luce della metafora proposta nelle prime pagine e ripresa nelle ultime. L’aurora è ancora piena di nubi, ma il cielo si sta aprendo e il “sol encuberto” è destinato in breve a risplendere (De Castro, 2011, c. 1, p. 38). Soggetto principale dell’opera è sempre D. Sebastião, nella affermata convinzione che l’impostore impiccato fosse solo una controfigura, e che il vero re sia tenuto ancora prigioniero dal governo spagnolo in qualche luogo segreto e inaccessibile (De Castro, 2018, c. 44, p. 451). Temi e soggetti sono in continuità con quelli del Da quinta monarquia, ma qui lo sguardo si distende più indietro, in quanto l’opera comincia con un’appassionata rivendicazione della sovranità portoghese a partire dal primo re Alfonso Henriquez. Quanto al futuro, l’orizzonte resta quello della monarchia universale all’insegna dell’intesa tra papa angelico e sovrano dei tempi finali.

Come è stato notato dall’editore, per quanto riguarda gli apporti profetici Aurora è il frutto più maturo del lavoro avviato con Da quinta monarquia (De Castro, 2011, Introd., p. 17-18). In effetti, tutti gli scritti citati nell’opera precedente e già elencati qui sopra sono ricordati di nuovo in questa, ma ad essi se ne aggiungono altri. La quantità e le dimensioni dei passi ripresi ad unguem pongono peraltro una questione che va quanto meno enunciata: quali i percorsi di lettura e gli eventuali tramiti, quale l’effettiva composizione della biblioteca di D. João? L’autore stesso fornisce indicazioni utili. Certi testi citati già in Da quinta monarquia gli erano arrivati fin dal 1587, speditigli da Nantes dal frate domenicano Estevão de Sampayo (De Castro, 2011, c. 43, p. 438). D. João ama presentarsi come un frequentatore della biblioteca parigina di Saint-Victor.36 I riferimenti alla biblioteca dell’abbazia sono cinque, ma solo per il primo è possibile individuare un riscontro preciso. Il passo citato37 risulta tratto da una profezia attribuita al non meglio identificato Joannes de Vatiguerro. Lo si ritrova nel ms. Parigi, Bibliothèque Nationale de France (BNF), Lat. 14575 (ff. 283r-286v) proveniente appunto da Saint-Victor.38 Viene peraltro riportato anche nel Mirabilis liber, opera comprendente una raccolta di testi profetici al servizio del tentativo di Francesco I di diventare imperatore, pubblicata per la prima volta nel 1522 e più volte ristampata.39 In linea teorica non si può dunque escludere che D. João abbia attinto da essa, o da qualche altra raccolta simile, come da un “magazzino” di testi profetici. In attesa di ulteriori verifiche, le sue dichiarazioni farebbero però pensare che abbia accostato direttamente le opere di suo interesse: ad esempio, il commento di W. Aytinger allo Pseudometodio, pubblicato a stampa nel 1486 e da lui citato più volte. Per le Rivelazioni del beato Amadeo (Raptus de Amadeu) dichiara di essersi procurato, verso la fine del 1604, una copia molto corrotta dell’opera, il cui manoscritto originale ritiene custodito nella Biblioteca Vaticana (De Castro, 2011, c. 38, p. 397). Per gli scritti (autentici e pseudoepigrafici) di Gioacchino da Fiore dichiara di rifarsi alle edizioni stampate a Venezia tra secondo e terzo decennio del ‘500 (McGinn, 1986). Per il De magnis tribulationibus di Telesforo da Cosenza afferma di disporre di un’edizione a stampa pubblicata a Siena nel 1508, sulla cui esistenza non si hanno notizie allo stato attuale.40

Una conoscenza diretta va supposta anche per l’Oracolo di Cirillo, di cui riporta e commenta pressoché integralmente il Testo, avvalendosi sia del relativo Commento dello Pseudogioacchino sia della Lettera di risposta dello Pseudogioacchino allo Pseudocirillo, cercando per quanto possibile di adattarlo alla biografia di D. Sebastião. D. João dichiara di non conoscere alcuna stampa dell’opera, e di aver potuto disporre solo di esemplari (quindi più d’uno!) manoscritti, corrotti e pieni di errori (De Castro, 2011, c.19, p. 241). Attualmente la BNF conserva sei codici con l’Oraculum Cyrilli. Due di essi provengono da Saint-Victor: il Lat. 14726 e il Lat. 14669, copia del precedente (Ouy, 1999, rispet. p. 522 e p. 135-136). Li caratterizza la partizione del testo in dieci capitoli (anziché in undici), partizione che si ritrova anche in Aurora. Tali indizi fanno pensare che D. João abbia utilizzato proprio i due codici di Saint-Victor, forse collazionandoli per giungere a una sorta di edizione più corretta. Solo confronti testuali diretti e ravvicinati potranno offrire una certezza definitiva al riguardo.

Infine, in Aurora D. João propone l’equazione encuberto = pipistrello, riferendosi esplicitamente al Ve mundo in centum annis. La profezia era stata inserita da Arnaldo di Villanova nel corpo del suo De mysterio cimbalorum ecclesie (1301).41 D. João afferma di averla trovata direttamente in questo scritto, di cui cita precisamente l’incipit e che sostiene di aver letto in un manoscritto del Collegio della Sorbona.42 Allo stato attuale non si conosce alcun manoscritto del De mysterio che sia appartenuto alla Sorbona. Se ne conosce invece un testimone (BNF, Lat. 15033) appartenuto alla biblioteca di Saint-Victor. Che D. João si sia confuso? L’ipotesi è suggestiva e andrebbe verificata tramite un confronto fra il passo riportato in Aurora e quello del ms. Lat. 15033. Attraverso il Ve mundo D. João giunge quindi a prospettare l’identificazione già teorizzata oltre un secolo prima da Joan Alemany e Alonso de Jaén: “O Morçego sempre esta encuberto, e escondido de dia, e não apareçe senão no fim delle, ja tarde, e de noite, quando se não ve, ou mal: pela qual semelhança poem este nome a El Rey Dom Sebastião: quasi chamandolhe Encuberto. Appareçe no fim do mundo: no fim das esperanças dos homẽs” (De Castro, 2011, c. 44, p. 451).

D. João fece della battaglia politico-dinastica nazionale la ragione principale di vita. Per tenere viva la leggenda da lui stesso inventata, si addentrò nel labirinto della letteratura profetico-messianica medievale e della Prima età moderna, e non ne uscì più. Scelta letterariamente felice: il “mitografo” (Bercé, 1996) poté essere tale proprio in forza di quella biblioteca quasi inesauribile, chiamata a sorreggere la vacillante costruzione della sua nostalgica “storia del futuro”.

Referenze

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  • VALLADARES, R. A Conquista de Lisboa (1578-1583) - Violência Militar e Comunidade Política em Portugal. Lisboa: Texto Editores, 2010.
  • VERISSĺMO SERRÃO, J. V. O Reinado de D. António Prior do Crato, volume I (1580-1582). Coimbra: s. e. 1956.
  • 1
    La vicenda storica e la relativa leggenda sono oggetto di una vasta letteratura. Fra i lavori più recenti, AZZAM, 2021; BELO, 2021; MEGIANI, 2003; HERMANN, 1998. Resta in ogni caso fondamentale per comprendere genesi, continuità e trasformazioni del sebastianismo, dalle origini fino alle soglie del ‘900, DE AZEVEDO, 19472, con appendice di fonti.
  • 2
    Per i tre falsi Sebastiano (due portoghesi e un castigliano) che precedettero Marco Tullio Catizone (l’ultimo e il più celebre, per cui si veda infra) cf. DE AZEVEDO, 19472, p. 32. La notizia è fornita già in DE CASTRO, 1597, cap. V, f. 5 e c. XIII, f. 25.
  • 3
    Per l’intera questione, TŐPFER, 1992, in part. p. 185-209. Ulteriori “avventure di spettri regali” sono raccolte e poste a confronto da BERCÉ, 1996.
  • 4
    Per le notizie riguardanti la sua vita cf. DE CASTRO, Dos nove, cc. IV-VI.
  • 5
    Ivi, cc. VII e IX, riprodotti in DE AZEVEDO, 19472, p. 146-148 e 153.
  • 6
    Ampi passi dell’opera autobiografica citata alla precedente nota 6 sono riprodotti in Appendice a DE AZEVEDO, 19472, p. 135-157.
  • 7
  • 8
    Edizione del testo, con introduzione sul complesso della produzione letteraria dell’autore e sulle circostanze biografiche di quegli anni in GONÇALVES SERAFIM, 2013.
  • 9
    Ne è stata pubblicata una trascrizione, priva di ogni genere di annotazione critica, DE CASTRO, 2020 (consultabile alla pagina https://periodicos.unifesp.br/index.php/fontes/article/view/10628/7991 consultato il 27 settembre 2022). Già a prima vista essa risulta gravata da un numero tale di lacune, omissioni ed errori di trascrizione (soprattutto per ciò che riguarda i passi in latino) da non poter costituire un punto di riferimento affidabile; la si può consultare solo per farsi una prima idea, necessariamente vaga e imprecisa, riguardo a struttura, contenuto e fonti dell’opera.
  • 10
    De Castro, 1597, in part. c. V, ff. 4-5; c. X, ff. 16-17; c. XII, f. 20; c. XIII, f. 25; c. XIV, ff. 30 e 34; c. XV, ff. 43-45; c. XVI, ff. 45-47.
  • 11
    Ivi, c. V, f. 3: c. X, f. 16; c. XII, f. 21; c. XIV, ff. 29 e 36.
  • 12
    Cf. De Azevedo, 19472, in part. p. 19-20 e 36-37 (qui in part. alla nota 1). Per la costruzione del profilo profetico di Isidoro di Siviglia cf. CARMAZO RUBIO, 2003, p. 5-34.
  • 13
    Incertezze sull’identità, a partire dal nome: DURAN-REQUESENS, 1997, p. 75.
  • 14
    Milhou, 1983, prospetta (p.238) che l’opera sia stata composta nella prima metà del secolo XV. L’ipotesi, non verificabile, è accolta da GUADALAJARA MEDINA, 1996, p. 378. Del Libro de la Venguda de l’Antichrist esistono: 1) Versione catalana, tradotta dal latino, a quanto vi si legge, dal maestro Pietro Carbonell. Non resta alcuna traccia di una prima edizione a stampa, pubblicata prima dell’agosto 1514, quando un esemplare fu venduto a Tarragona, come risulta dal registro di Fernan Colón (cf. DURAN-REQUESENS, 1997, p. 75). Una seconda edizione a stampa fu pubblicata da Jean Jofre a Valencia nel 1520. Il testo riportato in essa si trova riprodotto (dalla copia in possesso del Museo Plantin-Moretus di Anversa), introdotto e annotato in DURAN-REQUESENS, 1997, p. 73-133; 2) Versione castigliana. Per la sua tradizione manoscritta cf. DURAN-REQUESENS, 1997, p. 78. La si trova sotto il titolo di Libro de los Grandes Echos nel manoscritto 8586 (ultimo decennio del secolo XV) della Biblioteca Nacional de Madrid, ff. 1r- 29r, il cui testo è trascritto in Appendice a GUADALAJARA MEDINA, 1996, p. 405-425; 3) Versione portoghese, tramandata dal solo ms. 484 della Biblioteca Municipal de Porto, miscellanea profetica allestita verso la fine del sec. XVII, comprendente tra l’altro una «Relação da vida de el rei D. Sebastião» (scritta da Amador Rebello), una «Miscellanea prophetica e astrologica entre outras cosas o horoscopo de d. Sebastião», il Planto de España e l’opera di Joan Alemany. Per tali informazioni cf. già TORO PASCUA, 2003.
  • 15
    Cfr. Ramos, 1997, in part. p. 1244-1246. Va riportata in tale contesto l’identificazione del re con l’Encubierto prospettata da Rodrigo Ponce de León, che intorno al 1486 scrive alla nobiltà di Castiglia per ottenere sostegno nella campagna avviata dal sovrano per la presa di Granada («Sabed que este santo rey don Fernando bienaventurado que tenemos es el Encubierto, e así está declarado por San Juan y San Isidoro en sus revelaciones», MARQUES DE LA FUENSANTA, 1893, p. 248-250). Nel passo l’Encubierto è celebrato come colui che abbatterà i Mori, conquisterà Granada e tutta l'Africa, prenderà la Santa Casa di Gerusalemme e diverrà imperatore.
  • 16
    Cfr. Duran, 2021, in part. p. 20-22 (al termine, ampia bibliografia dei numerosi lavori sulle Germanies dell’illustre studiosa catalana).
  • 17
    Il ms. è di 88 ff. DURAN-REQUESENS, 1997, trascrivono alle p. 189-297 la quarta parte dell’opera (= ff. 50-85 del ms.).
  • 18
    “Fray Johan el Alimán, en un libro que ordenó de las cosas que muy prestamente en el mundo se an de seguir, fablando de aqueste rey, lo llama «el Encubierto», diziendo que un rey encubierto s’á de levantar e á de destruir las moscas importunas a la Spanya, e ha de quebrantar la cabeça de la bestia e humiliar los abitadores del río Nilo, e ganar la Casa Santa de Iherusalem, e todas las otras cosas contenidas en la prophecía Ve mundo in centum annis , quel Vespertilion tiene de fazer. E la simple gente no mirando quel autor - porque el Vespertilion está encubierto todo el día, que no sale fasta la noche, lo llamó «el Encubierto» tomando denominación del atto - crehen el Vespertilion ser uno y el Encubierto ser otro, como todo sea una cosa” (ms. 273, f. 78r, cit. anche da DURAN - REQUESENS, 1997, p. 274).
  • 19
    Per genesi remota e successive trasformazioni della profezia (secc. XIII-XIV) si veda POTESTÀ 2022, con ulteriori riferimenti bibliografici.
  • 20
    Cfr. De Castro, 1597, in part. capitolo IV, fogli 2-3. Per Gioacchino anche c. VII, f. 7; c. X, ff. 12-13; c. XIV, ff. 28 e 34-35; c. XVII, f. 50. Salvo il Commento all’Apocalisse, in corso di stampa, le altre sono attualmente disponibili in edizione critica, pubblicate parallelamente dai Monumenta Germaniae Historica e dall’Istituto Storico Italiano per il Medioevo nell’ultimo ventennio.
  • 21
    De Castro, 1597, cap. X, f. 12; c. XII, f. 22; c. XIV, ff. 28 e 32-33. Per genesi, finalità originarie dell’opera, prodotta in siriaco nell’ultimo decennio del secolo VII, e suoi successivi utilizzi nell’Occidente latino medievale, mi permetto di rinviare a Potestà, 2014, p. 39-78.
  • 22
    De Castro, 1597, c. X, ff. 15-16. Per la Tiburtina cf. POTESTÀ, 2014, p. 86-96.
  • 23
    De Castro, 1597, c. VIII, f. 9; c. X, ff. 12 e 17; c. XI, f. 18; c. XII, f. 22; c. XVII, f. 49. Su genesi e fortuna del Commento pseudogioachimita a Geremia cf. Potestà, 2004.
  • 24
    De Castro, 1597, c. XII, f. 22; c. XV, f. 43. Su genesi e fortuna del Commento pseudogioachimita a Isaia cf. Morris 2012.
  • 25
    De Castro, 1597, c. X, f. 16; c. XIV, f. 30. Su genesi e fortuna della Sibilla Eritea è fondamentale Jostmann, 2006.
  • 26
    De Castro, 1597, c. XIV, f. 30-31. Su genesi e trasformazioni dei vaticini papali illustrati cf. Potestà, 2010, p. 129-179.
  • 27
    De Castro, 1597, c. XVIII, f. 54. Edizione e commento della Lettera sui papi dello Pseudomerlino in Mesler, 2010.
  • 28
    De Castro, 1597, c. X, f. 16 (riferimenti ai cc. 1 e 2 del testo dell’Oraculum); c. XIV, f. 32 (c. 1 dell’Oraculum); c. XV, ff. 36-37 (c. 1 del testo dell’Oraculum, prologo di Cirillo e Commento dello Pseudogioacchino); c. XVI, f. 48; c. XVII, ff. 49 e 50-52 (passi scelti dai cc. 2-10 del testo dell’Oraculum e commento dello Pseudogioacchino). Da tenere presente che il testo di Cirillo è normalmente diviso in undici capitoli, mentre de Castro lo suddivide in dieci. Per la struttura dell’Oraculum, dossier profetico comprendente diversi testi, cf. infra.
  • 29
    De Castro, 1597, c. XV, f. 42; c. XVIII, f. 54. Per la tradizione manoscritta cf. Kaup, 2015.
  • 30
    De Castro, 1597, c. XVIII, f. 57. Per la tradizione manoscritta Kaup, 2015.
  • 31
    De Castro, 1597, c. VII, f. 7; c. X, f. 14; c. XV, f. 44. Sull’autore (la cui identità è celata dallo pseudonimo, tratto dall’Oracolo di Cirillo) e sull’opera LODONE, 2019.
  • 32
    De Castro, 1597, c. XI, f. 18. Su figura, opera e fortuna di Brigida cf. Santa Brigida, 2009.
  • 33
    In generale, per quanto riguarda la produzione di scritti a sostegno della dottrina della monarchia universale, cf. BOSBACH, 1998. Sul versante francese, si veda innanzi tutto BRITNELL - STUBBS, 1986. Resta fondamentale REEVES, 1969.
  • 34
    Per questa fase decisiva della sua vita e per la produzione di questi anni si veda l’ampia e documentata Introdução di J.C. Gonçalves Serafim a DE CASTRO, 2018, in part. p. 15-77.
  • 35
    Stampato in fretta, il testo della prima edizione è pieno di errori, a cominciare dal titolo. Un’edizione facsimile della stampa del 1602 fu pubblicata con introduzione di A. Pinto de Castro. Lisboa: Edições Inapa, 1994. Nuova edizione emendata: Discurso da vida de el-Rey Dom Sebastião, introd. e note di I. M. Bravo Caldeira. s.l.: Vercial 2013.
  • 36
    Cfr. De Castro, 2011, c. 20, p. 245; c. 32, p. 314; c. 43, p. 445; c. 44, p. 451; c. 45, p. 463.
  • 37
    “Concorre tambem na concordançia de çima, a profeçia do numero daquellas, que se intitulam dos Orientaes. A qual vi num livro de São Victor de Paris, escrito de mão: e noutro impresso dalguns oitenta annos a esta parte. Ella diz assi: A Aguia voara pello mundo, e sogeitara muytas nações. A qual sera coroada com tres coroas, em sinal de vitoria e de valor. Porem depois entrara no ninho, do qual não voara, donce ad coelum transeat gloriose: ate que suba ao çeo gloriosamente. Pulli sui ad inuiçem praeliabuntur, et praeda sua alter alterum spoliabit. Et Tunc / (fl. 498 v.) incipient duplicari in Occidente mala, et dolores, etc.”, De Castro, 2011, c. 20, p. 245.
  • 38
    Ringrazio Armelle Le Huërou per avermelo segnalato.
  • 39
    Su di essa cf. Britnell - Stubbs, 1986. Per le stampe cinquecentesche del Mirabilis Liber, Beaune, 1991.
  • 40
    De Castro, 2011, c. 21, p. 260 (“como os refere Theolosforo de Cusençia no seu Livro das grandes tribulações, e Estado da Igreja: sendo o volume donde isto tiramos, impresso em Sena çidade de Italia, no anno de Mil, e quinhentos e oito. O qual foy ordenado, e augmentado pello Mestre em Theologia, Frey Silvestre de Castiglione, da Ordem de Santo Agostinho”).
  • 41
    Cfr. sopra, all’altezza della nota 19.
  • 42
    DE CASTRO, 2018, c. 44, p. 450. Del De mysterio cymbalorum sono noti attualmente sei manoscritti. PERARNAU, 1988/1989 mostra di conoscerne solo tre. Mancando uno stemma codicum, le scelte compiute dall’editore si rivelano spesso opinabili e ingiustificate, se non arbitrarie. Cfr. in questo senso quanto rilevato in POTESTÀ, 2022, p. 273 e s., nota 22.

Publication Dates

  • Publication in this collection
    08 Mar 2024
  • Date of issue
    2024

History

  • Received
    10 Mar 2023
  • Accepted
    02 Dec 2023
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