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Superare Parmenide: Zenone, Melisso e Gorgia impegnati a fare ‘meglio di lui’

Overcoming Parmenides: Zeno, Melissus and Gorgias committed to doing 'better than him'

Riassunto:

Durante il V secolo AC Parmenide ebbe molti e qualificati lettori, tra cui Zenone, Empedocle, Anassagora, Leucippo, Melisso, Protagora, Gorgia, Ippia. Tre di loro hanno cercato di fare molto di più di quello che è stato in grado di fare lui con l' ‘esercizio deduttivo’ che incontriamo in 28B8.1-33 (o, nel caso di Melisso, con l'intera dottrina dell'essere), e ci sono riusciti. In effetti, che si siano sforzati di superare l'elevato standard già raggiunto da Parmenide nell'invenzione dei passaggi strettamente deduttivi è sostanzialmente fuori discussione. Il mio articolo è dedicato a rendere conto degli ambiziosi obiettivi che Zenone, Melisso e Gorgia raggiunsero, ciascuno in modi molto differenti.

Parole Chiave:
Parmenide; Zenone; Melisso; Gorgia; Ontologia

Abstract:

During the fifth century BCE Parmenides had many and qualified readers, among whom Zeno, Empedocles, Anaxagoras, Leucippus, Melissus, Protagoras, Gorgias, Hippias. Three of them tried to do much more than what he was able to do with the ‘deductive exercise’ we encounter in 28B8.1-33 (or, in the case of Melissus, with the whole doctrine of being), and they succeeded. Indeed, that they strived to overcome the high standard already reached by Parmenides in the invention of strictly deductive passages is basically out of the question. My paper is devoted to account for the ambitious aims Zeno, Melissus, and Gorgias attained, each in a very distinguished manner.

Keywords:
Parmenides; Zeno; Melissus; Gorgias; Ontology

1. Una delle vette raggiunte da Parmenide

1.1.

Concentrerò la mia attenzione sui versi 1-33 del fr. 8 DK, quelli in cui Parmenide procede a caratterizzare l’essere in negativo. L’essere non può nascere, non può morire, non può differenziarsi e tantomeno dividersi, non potrebbe spostarsi né muoversi. Con riferimento a questa sezione,1 1 In realtà anche con riferimento ai frammenti di Melisso (in part. al fr. 7 DK). il Barnes ebbe occasione di dichiarare (1979BARNES, J. (1979). Parmenides and the Eleatic One. Archiv für Geschichte der Philosophie 61, p. 1-21., 176) che «we have, in these few compact lines, a complete deductive metaphysics». In precedenza Imbraguglia (1974IMBRAGUGLIA, G. (1974). Ordinamento assiomatico nei frammenti parmenidei. Milano, Marzorati., 117) aveva avuto occasione di scrivere: «Parmenide, anche se non enuncia esplicitamente le regole di derivazione, si avvale a volte persino di schemi di derivazione prevalentemente meccanici». Più esplicita è stata Marcacci quando ha scritto (2009MARCACCI, F. (2009). Alle origini dell’assionatica: gli Eleati, Aristotele, Euclide. Roma, Aracne., 64): «È fuor di dubbio che Parmenide abbia abbozzato un nuovo modo di “dimostrare” e abbia proposto una maniera nuova di “astrarre”», e poi (a p. 71):

tutto ciò2 2 Marcacci ha appena parlato di “impianto argomentativo”. sembra anticipare le regole dell’assiomatica: porre premesse, svolgere l’argomento in demonstrandum e conseguire la certezza del provato. Con Parmenide le distanze verso un sapere ben costituito, ben fatto, giustificato nelle sue parti sembrano raccorciarsi rapidamente. Il salto di qualità è ragguardevole. … La forza del sapere va a risiedere nella capacità di dimostrarlo.

È con queste sue dichiarazioni e, temo, con non molte altre, che si è cominciato a sollevare il velo sulla cura e sulla creatività con cui Parmenide ha costruito un embrione di ‘deductive metaphysics’ nei versi 1-33 di B8, attenendosi a un primo nucleo di “regole di deduzione”. Successivamente (2014, 2, 83) Wedin WEDIN, M.W. (2014). Parmenides’ Grand Deduction. A Logical Reconstruction of the Way of Truth. New York: Oxford University Press.ha parlato del «first great philosophical argument in the Western tradition», di «considerable logical power … matched by unflinching ontological parsimony», delle «deductive consequences of the governing deduction», assumendo che una possente struttura logica sia operante, ma poi ha concentrato la sua attenzione sui dettagli e non sulla natura dell’innovazione che quei versi documentano. A me, più recentemente, è sembrato di poter insistere proprio su quest’ultimo aspetto a partire da quando mi è accaduto di notare, nei versi 1-33, due caratteristiche molto speciali: all’inizio l’indicazione delle tesi da svolgere e poi le frasi tos genesis men apesbestai kai apustos olethros (v. 21), toi xuneches pan estin (v. 25) e choutos empedon authi menei (v. 30), frasi ognuna delle quali, oltre a concludere il discorso, stimola a notare che è stata effettivamente svolta una dimostrazione, che la dimostrazione si è conclusa con successo e che ora è disponibile una conclusione ben stabilita, quella che viene formulata di volta in volta: l’essere non nasce, non muore, è compatto, è immobile. Da qui a pensare che quei tre esametri svolgano una funzione paragonabile a quella svolta dall’espressione ὅπερ ἔδει δεῖξαι, quod erat demonstrandum, QED, che è così frequente negli Elementi di Euclide, il passo è stato breve. Infatti la prossimità fra le espressioni dell’uno e dell’altro è un dato poco meno che innegabile. Oltretutto, almeno ai versi 22 e 26 incontriamo anche l’enunciazione dei demonstranda che danno luogo ai successivi QED dei versi 25 e 30, e in questi casi la corrispondenza tra demonstrandum e QED è del tutto riconoscibile.

Notiamo inoltre l’irruzione di ben ventiquattro parole, concentrate nei versi 5-25, che esprimono consequenzialità fra gli enunciati. Sono queste: epei, gar, oute, ou gar, oude, houtos, oude pot’, tou heineken, oun, gar, hoste, pos gar, pos d’an, ei gar, oud’ ei, tos, oude, epei, oude, oude, toi, autar, epei, e alla lista si dovrebbero aggiungere il tou medenos arxamenos del v. 10, che nasconde appena un “se” o un “qualora”, e così pure le molte ragioni omesse, ma lasciate intravedere, a sostegno delle tesi accreditate con i versi 26-31 e 32-33. Un così alto tasso di concentrazione di connettivi indicanti subordinazione e ipotassi, con parole introdotte per comunicare l’idea di interdipendenza degli enunciati, e con espressioni che, a seconda dei casi, significano “se A allora B”, “B, infatti A”, “né A né B”, oppure “pertanto, dunque”, compare solo qui in Parmenide, in nessun altro testo anteriore a Parmenide, e poi mai più per secoli (non in altri presocratici, non in Platone, non in Aristotele, che sviluppa altri tecnicismi). Costituisce pertanto un unicum non solo pregevole ma anche non poco significativo.

Se ne deduce che questo blocco di esametri non è solo compatto (Barnes, 1979BARNES, J. (1979). Parmenides and the Eleatic One. Archiv für Geschichte der Philosophie 61, p. 1-21.), ha qualche caratteristica ulteriore. Tradisce una intenzionalità: il proposito di provare ad accreditare le conclusioni intraviste nel più inobiettabile dei modi. Dunque in modi disciplinati quando nessuno ancora aveva la più pallida idea di come si potesse dar vita a un ‘argomentare’ e a un ‘dedurre’ disciplinati nell’ambito non di una qualunque unità testuale, ma addirittura di un testo esametrico. Così cominciamo a intuire che Parmenide dovette fare l’impossibile per ottenere che i suoi esametri riuscissero aia a rende l’idea di una ‘disciplina del dedurre’ già piuttosto severa, sia a osservarla col massimo impegno, in modo che l’autore fosse sicuro, sicurissimo di istituire un sapere fondato, solido, durevole, come non si era mai visto prima. Ci dice inoltre che questa operazione - da un lato immettere in circolo un numero abnorme di indicatori chiamati a esprimere l’idea di stretta consequenzialità, dall’altro raggiungere una ragionevole chiarezza e un buon tasso di plausibilità nel rispetto della versificazione esametrica - gli deve essere costata una fatica immane, cioè che solo un perfezionista instancabile avrebbe potuto raggiungere un risultato così cospicuo.

Inoltre cominciamo a capire che l’autore aveva intravisto un obiettivo e si era proposto di raggiungerlo, accettando di sobbarcarsi le fatiche di una ‘lunga marcia’. Infatti gli esametri vengono forzati a risultare plausibili, ma sono più che insoliti nel tentativo di mostrare sia la fondatezza di enunciati eretti in tesi da dimostrare, sia la stretta interconnessione fra considerazioni di diversa natura. Essi ci parlano pertanto di un progetto piuttosto preciso che ha presieduto alla configurazione dell’unità testuale, di un criterio che nel frattempo ha preso forma, della volontà dell’autore di arrivare a costruire un quid (noi diremmo: un processo inferenziale) che fosse visibilmente rigoroso, almeno per quanto consentito dalla struttura esametrica, dalle esigenze della variatio e dal tradizionale ricorso ad alcuni omerismi. Siamo chiaramente al primissimo tentativo, esperito e condotto a buon fine senza disporre di alcun modello, ma magari proprio con l’ambizione di offrire un buon esempio di qualcosa che non c’era ancora, ma che aveva cominciato a prendere una forma precisa nella mente dell’autore. Se proviamo a dare un nome a ciò che si intravede in fondo al tunnel, credo che un solo nome sarebbe appropriato: si tratta di ciò che in altre epoche assumerà la denominazione di mos geometricus. Trovo, invero, che l’embrione sia poco meno che perfettamente riconoscibile, specialmente grazie ai tre QED e alla visibile correlazione che sussiste, come dicevo, tra enunciazione del singolo demonstrandum e configurazione del QED corrispondente.

1.2.

Certo, in questi esametri non figurano i nomi divenuti tradizionali in epoche successive (non solo QED, ma anche demonstrandum e demonstratio); manca inoltre la configurazione grafica che le moderne edizioni degli Elementi euclidei hanno reso familiare a tanti fra noi, ma l’idea progettuale già indirizza chiaramente in quella direzione.

In secondo luogo bisogna riconoscere che l’ordinamento assiomatico e le regole di deduzione di cui provò a parlare Imbraguglia ancora non ci sono, che le regole dell’assiomatica evocate da Marcacci sono ancora lontane, e così pure che per poter parlare di metafisica non basta nemmeno aspettare i tempi di Aristotele, tutt’altro.3 3 Sull’argomento v. Napoli (2012). Però il “deductive” di Barnes, “l’impianto argomentativo”, la “capacità di dimostrare” e “la certezza del provato” di Marcacci, e così pure le “deductive consequences” di Wedin sono dati che semplicemente si impongono alla nostra attenzione. Chi potrebbe negare che in questi esametri Parmenide sia pervenuto a abbozzare una dimostrazione quasi formalizzata? Specialmente la ripetuta comparsa del QED è inequivocabile. Se ne deduce che egli ha saputo piegare l’esametro a accogliere un linguaggio deduttivo totalmente inedito, probabilmente affrontando una fatica improba.

Bisogna riconoscere, inoltre, che il risultato è imperfetto anche per altre ragioni. Il primo ‘proclama’ (“non nasce e non muore”) viene poi ripetuto quasi alla lettera a distanza di diciotto esametri, e sedici dei diciassette esametri intermedi sono impiegati per dimostrare precisamente questo e nient’altro, che l’essere non nasce e non muore. Però, per introdurre gli altri demonstranda Parmenide ha bisogno di far posto, nel verso 4, a un gar inappropriato. Per di più, nel caso del secondo demonstrandum, la corrispondenza tra demonstrandum e QED lascia alquanto a desiderare perché al v. 4 era comparsa la parola oulomeles,4 4 Al riguardo occorre ovviamente tener presente che oulomeles compete, per così dire, con oulon mounogenes. Un passaggio decisivo nella discussione sulle ragioni per preferire la dicitura oulomeles è costituito da Untersteiner (1955). mentre al v. 25 troviamo la parola xuneches, che non ha nemmeno la stessa radice (pur essendo prossima nel significato). Quel che è peggio, ai v. 22-24 e 26-29 la dea non prova nemmeno a dimostrare. Infatti, con nostra sorpresa, si limita a asserire, peraltro lasciando intendere che, a sostegno del secondo e del terzo demonstrandum, avrebbe dovuto svolgere un’argomentazione troppo simile a quella proposta per il primo, per cui si risolve a non svolgere per niente la dimostrazione, a astenersene. Ancora: il quarto demonstrandum (kai ateleston) non dà luogo a una dimostrazione ad hoc, anche se l’argomento viene pur sempre sfiorato prima e dopo il v. 30 (ci sono due menzioni dei desmoi) ed espressamente ripreso (non senza introdurre una variatio) al v. 32 con ateleuteton.

Non si può dire dunque che da questi versi emerga un percorso deduttivo già impeccabile. L’ordine introdotto è solo incoativo, cosa che ben si addice al primissimo tentativo. In effetti, proprio i limiti ci parlano di impegno a raggiungere uno standard che si è rivelato, nel contempo, oltremodo difficile da conseguire, anzitutto (ma non soltanto) a causa delle restrizioni imposte dal ricorso agli esametri. Pertanto le difficoltà, evidenti ed enormi, e gli indizi di un prodotto riuscito non benissimo possono solo contribuire a far apprezzare il risultato ottenuto, che è cospicuo malgrado le difficoltà incontrate. Se, malgrado le difficoltà, un risultato più che apprezzabile è stato pur sempre raggiunto - e si ammetterà che lo è stato - è dunque perché l’autore ha fatto ogni forzo per costruire un discorso già disciplinato da molti (anche se non da tutti) i punti di vista. Altrimenti non sarebbe incappato nelle difficoltà sopra segnalate e non avrebbe accumulato decine di parole esprimenti consequenzialità allo scopo di riuscire comunque a rassicurare tutti sull’attendibilità del suo ragionamento.

Oltre a mostrare qualcosa, questo gruppo di esametri lascia dunque intravedere anche qualcos’altro: non solamente l’obiettivo al quale l’autore si è quanto meno avvicinato, ma anche un insieme strutturato di sottolineature e di messaggi che ora proverò ad esplicitare.

Possiamo negare che l’autore esordisca dicendo l’equivalente di un “ora mi accingo a dimostrare che”, e subito dopo l’equivalente di un “cominciamo dunque con il primo di questi demonstranda”? Ma l’autore viene a dirci inoltre: “questo è il punto che mi accingo a dimostrare (e vedete bene che non è poi tanto intuitivo)”. Poi, una volta giunto al v. 21, non ci trasmette forse anche il seguente messaggio: “ecco, queste (= quelle proposte ai versi 5-20) sono le ragioni per cui l’affermazione che ho fatto può ritenersi dimostrata; pertanto la dimostrazione precedentemente proposta può dirsi ormai conclusa e ha titolo per essere considerata attendibile”? Solo dopo aver suggerito tutto questo Parmenide ricomincia con un nuovo demonstrandum. Ma nel contempo ci trasmette anche un tacito invito a notare che “è così che si fanno le dimostrazioni”, che “questo è l’ordine, anche mentale, con cui si dovrebbe procedere”, e così pure che “di una così rigorosa disciplina intellettuale puoi fidarti”.

Ci troviamo così di fronte a un articolato gruppo di messaggi impliciti che delinea un metadiscorso e apporta un valore aggiunto. Infatti viene delineata la direzione di marcia e indicato l’obiettivo intravisto. Nel contempo i messaggi impliciti aiutano a capire meglio la logica di una procedura che aspira a essere (e a risultare) rigorosa; sono un fattore di chiarezza, ma anche di stabilità del modello, e incoraggiano ad apprezzare. Cominciamo anche a capire come mai la nozione di mos geometricus di altre epoche sia consistita nel mettere a fuoco proprio l’infrastruttura di base - demonstrandum > demonstratio > QED - e sia stata considerata non semplicemente il simbolo, ma il sintomo o la prova dell’alto rigore dimostrativo raggiunto da quei pochi testi in cui un simile standard viene rispettato.5 5 L’insieme non è propriamente legato a una particolare disciplina perché si configura come una modalità di organizzazione del sapere, quindi come una particolarissima strategia comunicazionale. Cf. Rossetti 2016. Ma per l’appunto è in Parmenide che un sostanzioso embrione di tale mos perviene a prendere forma per la prima volta in Grecia (e, quasi sicuramente, non solo in Grecia!).

Per tutte queste ragioni, la comparsa dei versi 1-33 del frammento 8 DK di un poema che è stato composto e fatto conoscere tra il 500 e il 470 a.C. circa, costituisce - e chiede di essere trattato come - un evento di prima grandezza. Oso aggiungere che bisogna essere piuttosto distratti per non notare la loro eccezionalità e non interrogarsi sulla ragion d’essere di un simile tour de force.

Ma, dicevo, parliamo pur sempre di un tentativo imperfetto e, in teoria, migliorabile. Chi fosse stato capace di farsi un’idea della direzione di marcia e dell’obiettivo perseguito, avrebbe potuto ben intuire che l’obiettivo era stato raggiunto solo in parte e che non sarebbe stato impossibile fare di meglio. Mi accingo, invero, a individuare alcuni tra i primissimi tentativi di fare meglio di quanto è tuttora osservabile nei versi 1-33.

2. Superare Parmenide: i tentativi di Zenone e Melisso

2.1.

Quanto a Zenone, possiamo dire di essere fortunati perché il suo fr. 3 DK (= 20B11 LM), oltre a essere preceduto dalle parole graphei tauta kata lexin ho Zenon (“Z. scrive esattamente questo”) da parte di Simplicio, parole quanto mai rassicuranti, propone l’abbinamento di due ragionamenti che si sviluppano in parallelo: partono dalle medesime premesse (ei polla estin) ma arrivano a conclusioni opposte. Nel primo blocco di dichiarazioni leggiamo che «se (ta onta, le cose che ci sono) sono molte, è necessario che siano tante quante sono, non una di più né una di meno, e se è così, sono finite (= in numero finito)». La frase è scultorea nella sua nitidezza, ed è non meno inobiettabile e perentoria di quanto non fossero le deduzioni parmenidee. L’affermazione è dotata inoltre di immediata intelligibilità. L’impressione di essere tautologica ha il potere di fugare, per il momento, ogni dubbio. Per di più il ragionamento proposto, non rinvia a nient’altro, non presuppone nessun insegnamento precedentemente svolto, insomma si difende da solo. A sua volta il percorso inferenziale è nitido (“se sono molte, quante sono?”) e vincolante, ma conduce dal noto all’ignoto, dalla banalità del “molte” all’impensato del “tante quante sono” (una grandezza finita, che in teoria si potrebbe tradurre in una cifra). Che questo sia un ragionamento disciplinato è del pari innegabile. Inoltre la prosa non è accidentata e la metrica non impone vincoli indesiderabili.

Il secondo blocco consiste nel dire che «Se sono molte, ta onta, le cose-che-ci-sono sono infinite (non si può sapere quante siano). Infatti ci saranno sempre altre cose in mezzo a queste e, di nuovo, altre fra queste ultime, sicché sono (proprio) infinite». Spiace che non si capisca bene in che senso Zenone intendeva che in mezzo (metaxu) c’è sempre qualche altra cosa, ed è un peccato, perché questo dubbio fatalmente toglie forza e immediatezza al ragionamento. In effetti ha senso supporre che tra due corpi che si toccano ci sia, in mezzo, almeno un po’ di polvere a forma di granellini, ed è immaginabile che anche tra due granellini di polvere sia depositato pur sempre qualche altro micro-granellino. Dopotutto è stato Zenone a parlare della decimillesima parte di un grano di miglio, che già è così piccolo da pesare, se sono bene informato, circa 5-6 milligrammi. Ma è proprio a questo che Zenone pensava? Chi può dirlo?

Ma se supponiamo, per un momento, che il dubbio sia fugato, ecco che abbiamo un ragionamento non meno lineare del precedente e non meno perentorio nel raggiungere la conclusione opposta: chi può dire quanti granellini (di polvere o d’altro) ci siano sulla superficie di due corpi che sembrano toccarsi? Chi può dire quanti micro-granellini ci siano, a loro volta, tra i granellini sopra identificati. Dopodiché prende forma una nitida antilogia, che Zenone non è per nulla interessato a fugare. Anche questo è un paradosso pensato per suscitare perplessità, se non inquietudine, e per spingere a cercare una via d’uscita ora che ‘tutte le porte sono sbarrate’.

Osservo infine che qui non si parla di to on o to eon, né di ta eonta alla maniera di Parmenide, ma di ta onta, le cose, espressione priva di valore aggiunto e di sovrastrutture dottrinali. Questo è un nitido indizio (ma ce ne sono molti altri, di solito sottovalutati) in base al quale presumere che Zenone abbia voluto distanziarsi da Parmenide e procedere per una strada tutta sua. D’altronde, che si condivida o non si condivida quell’insegnamento,6 6 Spesso si parla dell’insegnamento di Parmenide al singolare, ma faccio difficoltà a condividere questo atteggiamento, perché in realtà gli insegnamenti di Parmenide sono molti. Ho provato a dimostrarlo con l’inventario offerto nel primo capitolo di Rossetti (2017). che qui prenda forma il gusto della provocazione intellettuale e la volontà di stupire è un fatto, ed è cosa ben diversa dell’attitudine di Parmenide a proporsi come docente che sa ciò che gli altri non sanno. Parmenide si attende che il suo pubblico apprenda e condivida; Zenone si attende (qui e altrove) che il suo pubblico si stupisca, che cominci a pensare, che provi a uscire dalla gabbia argomentativa, e non chiede più di questo.

Mi pare che quanto è stato appena rilevato permetta di affermare che Zenone ha cercato e trovato un suo modo di ‘fare meglio’ di Parmenide proprio sul versante del saper argomentare. Ciò costituisce, a sua volta, un indizio in più per ravvisare nei versi 1-33 un tentativo consapevole di costruire ragionamenti governati e sorretti da una infrastruttura in grado di conferire valore aggiunto al discorso, ed è appena il caso di osservare che in B3 anche Zenone introduce una formula doppia:

se A, allora B ̴ se A, allora C (= non B)

cui segue la domanda implicita: “se A, allora B o allora C?”.

Beninteso, Zenone non sta costruendo un paradigma logico-deduttivo e non prova nemmeno a interrogarsi sulla legittimità dell’inferenza “se C, allora non-B”. Il suo obiettivo è quello consueto: sorprendere, sconcertare, disorientare l’uditorio dando l’impressione di aver delineato un ostacolo invalicabile. Questo, d’altronde, è il tratto peculiare di ogni antilogia. Antifonte, per esempio, scrive delle tetralogie nelle quali non si ricerca la contraddizione formale ma unicamente l’impressione che ogni parlante abbia, come si dice, ragioni da vendere. E, per l’appunto, attenendosi alle regole non scritte di una buona antilogia, Zenone si guarda bene dal rispondere alla domanda “allora B o C?”. Egli marca la sua distanza dal maestro (dal quale ha comunque appreso ad argomentare7 7 Se l’obiettivo era di individuare una forma di oltrepassamento dei traguardi raggiunti da Parmenide, l’obiettivo è stato raggiunto sulla base della più sicura delle evidenze testuali disponibili, e al momento non c’è motivo di spingersi oltre. ) anche con un simile accorgimento.

Peccato che la ‘lezione’ di Zenone abbia colto tutti i suoi contemporanei (e i posteri) talmente impreparati da non dare luogo ad alcun feedback significativo.

2.2.

Molto diverso è il caso di Melisso di Samo, che si presume abbia scritto il suo unico libro, all’incirca, tra il 460 e il 440 a.C. Melisso fu l’unico, dopo Zenone (o insieme con Zenone), a accorgersi di ciò che rende così speciali i versi B8.1-33 del poema parmenideo. Provenendo da un’altra area culturale, quei trentatré esametri se li è dovuti verosimilmente studiare, e lo fece con evidente profitto. Al riguardo è sufficiente prendere in esame il fr. 7 DK, che è quello formalmente più accurato, per accorgersi delle analogie nell’organizzazione formale dei due testi. Nel fr. 7 scrive dunque Melisso, in sintesi:

[PRELIMINARI (B7.1)] Pertanto è eterno, infinito, uno e tutto uguale.

[PRIMA ESPANSIONE DEL DEMONSTRANDUM (B7.2)] Ma è anche (A) immutabile, (B) non soffre.

[DEMONSTRANDUM (A) (B7.2)] Non può subire alterazioni

[DEMONSTRATIO DI (A) (B7.2)] Se subisse alterazioni, ciò che era prima dovrebbe dissolversi e ciò che non c’è dovrebbe spuntar fuori dal nulla

[QED (B7.2)] Se dunque si alterasse, si auto-distruggerebbe.

[corollario (B7.3)] Poiché non subisce incremento, né dissoluzione, né alterazione, non può nemmeno essere modificato (scil. nemmeno da un agente esterno).

[DEMONSTRANDUM (B) (B7.4)] Non soffre

[DEMONSTRATIO DI (B) (B7.4-6)] Chi soffre, soffre per cose tolte aggiunte, dunque soffrirebbe per un’alterazione, ma l’alterazione è esclusa. Analogamente chi è sano non può provare dolore.

[QED (B7.6)] (conclusione non formulata).

[NUOVO DEMONSTRANDUM (B7.7)] (C) Il vuoto non esiste

[ DEMONSTRATIO DI (C) (B7.7) ] Il vuoto non è nulla, mentre il nulla non è una cosa che c’è

[QED (B7.7)] Quindi non c’è un luogo, vuoto, in cui ‘esso’ potrebbe spostarsi.

[corollario (B7.7) ] Non essendoci il vuoto, non si può spostare.

[PRIMA ESPANSIONE DEL NUOVO DEMONSTRANDUM (B7.8)] (D) Di conseguenza non è denso qui e rarefatto là

[ DEMONSTRATIO DI (D) (B7.8) ] Ciò che è rarefatto sarebbe più vuoto di ciò che è denso.

[QED (B7.8)] (conclusione non formulata).

[SECONDA ESPANSIONE DEL NUOVO DEMONSTRANDUM (B7.9)] Di conseguenza è pieno

[DEMONSTRATIO DI (E) (B7.9)] Se non fosse pieno, avrebbe dei vuoti in cui accogliere qualcos’altro

QED (B7.10) ] Dunque è necessario che sia pieno.

[ corollario (B7.10)] Se è pieno, non può nemmeno muoversi.8 8 Ho proposto una diversa resa grafica del medesimo schema in Rossetti (2020a), alquanto fugacemente, e in Rossetti (2020b), con un po’ di maggiore cura.

Altre analogie affiorano da MXG (opera di cui si parlerà diffusamente nella sezione 4.1): di Gorgia si riferisce che, dopo aver addotto argomenti per negare che l’essere è e il non essere non è, passò a svolgere altri quattro argomenti in questo ordine: l’essere (1) non può essere né generato né ingenerato, (2) non può essere né uno né molti, (3) non si può muovere, (4) non si può dividere. Non è escluso che in questo percorso dimostrativo (non certo nell’intero e articolatissimo edificio del PTMO) Gorgia abbia seguito passo passo un gruppo di dimostrazioni melissiane non pervenute. Ciò vale non solo come segnalazione di una fonte ulteriore per la conoscenza del libro di Melisso, ma anche come possibile traccia di altre pagine in cui Melisso tornava a argomentare in modo seriale, approssimativamente nel modo che abbiamo appena visto.

Torniamo dunque a concentrare l’attenzione su Melisso. La caratterizzazione degli enunciati in base alla funzione di demonstrandum, demonstratio o QED che è loro assegnata di volta in volta è, oso credere, trasparente, innegabile. Le indicazioni collocate tra parentesi quadre qui sopra provano solo a rendere esplicita la funzione che i singoli elementi di questo percorso dimostrativo sono chiamati a svolgere, e oso presumere che la loro presenza non introduca nessuna forzatura, che segnalarlo sia solo un aiuto non necessario per individuare il ruolo svolto da ciascun enunciato nel contesto. E che, tra lo schema formale che Parmenide si è saputo rappresentare mentalmente (per poi attenersi ad esso per quanto possibile e, di fatto, darne un’idea non vaga) e quello al quale si è attenuto Melisso, ci sia un alto grado di affinità mi pare del tutto evidente. La circostanza si combina, per l’appunto, con una non meno evidente affinità nei contenuti.

Se ne deduce che a Melisso non sfuggì la forma della dimostrazione impostata da Parmenide. Al contrario, egli ebbe il merito di accorgersene, ne apprezzò il valore, la studiò, la comprese e seppe non solo riprodurla con autonomia intellettuale, ma pur sempre in modi riconoscibili e con difetti formali già minori (mi limito a segnalare la netta discontinuità fra i primi sei paragrafi e gli ultimi tre, nonché l’omissione di due QED), e contribuire non poco a accentuarne la visibilità.

Osservo inoltre che, salvo dimostrazione del contrario, nessun altro testo anteriore a Euclide ripropone in modo più o meno evidente un simile schema. Da questa circostanza non si deduce che l’autore degli Elementi era venuto a conoscenza o del poema di Parmenide o del libro di Melisso. Più semplicemente, si deduce che, nel secolo e mezzo intercorso tra Melisso ed Euclide, i matematici dovettero impegnarsi a fondo nell’impostare l’organizzazione formale delle dimostrazioni, e andarono proprio nella stessa direzione, peraltro pervenendo a individuare forme più evolute e consapevoli. La circostanza ci aiuta a capire che i due eleati seppero prendere coscienza, e con molto anticipo, di una risorsa importante nel costruire un corpus dottrinale, senza che la circostanza venisse osservata né dai filosofi antichi né, fin verso la fine del secolo XX, dai moderni.

Il fatto di aver accentuato non poco la visibilità dello schema è tanto più significativo in quanto, con ogni verosimiglianza, lo schema era operante anche in alcune delle sezioni non pervenute del libro di Melisso.

3. Che cosa Melisso è stato capace di fare

3.1.

Proviamo ora a approfondire la natura della relazione intercorsa fra Parmenide e Melisso. Possiamo partire da un ragionamento elementare. Dato che i contenuti argomentativi proposti da Melisso (la sua idea di essere) trovano un palese riscontro in Parmenide, dato che nei frammenti del samio incontriamo sia delle ‘variazioni sul tema’ (anzitutto la sua propensione a parlare dell’uno anziché dell’essere) sia delle messe a punto (l’infinito), ma non un’idea visibilmente diversa dalla nozione di essere su cui aveva lavorato Parmenide, e dato che una vasta letteratura scientifica ha addirittura trasferito a Parmenide il monismo da Melisso, quasi che quella fosse stata un’idea dell’eleate successivamente riproposta dal maestro di Samo,9 9 L’argomento è stato oggetto di dibattito a partire da Untersteiner (1958) e Barnes (1979). Tra le voci successive ricorderò Finkelberg (1988), Cherubin (2003), Curd (2004), Cordero (2004), Palmer (2009), Pulpito (2010). è giocoforza concludere che quest’ultimo ha recepito in larga misura il ragionamento di base dell’eleate su essere e non essere e è stato in grado di apprezzare moltissimo l’apparente irresistibilità di quel ragionamento, tanto da riproporlo apportandovi delle modifiche significative, ma non tali da comprometterne la riconoscibilità.

Questa conclusione è stata storicamente disturbata dai giudizi di Aristotele (in particolare dall’epiteto di phortikos, ‘grossolano’ o addirittura ‘goffo’)10 10 Il passo figura in Phys. I 3, 186a9; c’è poi il mikron agroikoteroi riferito a Senofane e Melisso in Metaph. I 5, 986b26 s. (= 30A7 DK = 21R4-5 LM). e dall’erronea presunzione che, ben prima di Melisso, fosse stato Parmenide a professare un rigoroso e consapevole monismo. Tuttavia, a meno di rimanere condizionati da questi due ostacoli non probanti, è una conclusione addirittura priva di alternative. Del resto, ai fini della presente indagine non cambierebbe molto se il primo monista fosse stato Parmenide, perché in tal caso Melisso avrebbe aderito ancor più minutamente alle dottrine ontologiche del maestro. Analogamente, la stroncatura aristotelica non incide sulla sostanziale aderenza di Melisso alla sostanza della dottrina parmenidea dell’essere. Insomma niente di nuovo fin qui, e sappiamo che la tradizione storiografica si è spesso fermata proprio qui.

Ma, quale che sia stato il suo livello di fedeltà sul piano dottrinale, è giocoforza ammettere che Melisso dovette prestare una specialissima attenzione allo schema formale che i versi 1-33 (quelli di cui si è parlato all’inizio di queste note) lasciano intravedere. Le visibili analogie fra quegli esametri e porzioni significative dei frammenti di Melisso (in modo particolare il fr. 7 DK) impongono di presumere che il maestro di Samo seppe non solo notare l’eccezionalità di quegli esametri, ma anche riconoscere e individuare con precisione la direzione di marcia verso cui Parmenide aveva mosso i primi passi, per poi provare a spingersi almeno un poco più avanti non solo sul piano dottrinale ma - circostanza degna di nota - anche sul piano formale. Il fatto poi che Melisso si sia impegnato nel costruire un testo in prosa molto piano, ordinato e, al confronto, di gran lunga più facile da seguire, comprendere e approvare, è un’altra acquisizione qualificante. Dobbiamo di conseguenza presumere che egli abbia prestato a quei versi la più grande attenzione, che se li sia studiati a fondo e abbia finito per innovare considerevolmente il modo di configurare la dimostrazione, rendendo più immediatamente visibile la sua struttura formale.

È interessante notare, in questo contesto, che nei testi pervenuti Melisso evita di soffermarsi sulla “Governing Deduction”, mentre si dedica volentieri a svolgere analiticamente le applicazioni della conclusione della “Governing Deduction” (sto evidentemente usando la terminologia cara a Wedin, 2014WEDIN, M.W. (2014). Parmenides’ Grand Deduction. A Logical Reconstruction of the Way of Truth. New York: Oxford University Press., p. 84). In effetti la prossimità con Parmenide non si manifesta in relazione ai frr. 2-7 del poema né, ovviamente, ai frr. 1 e 9-18 (né, a dire il vero, in relazione alla seconda parte del fr. 8). Ciò con cui egli si confronta (senza dirlo) sono, sostanzialmente, i 33 esametri. Sono quelli i versi che hanno colpito Melisso e l’hanno motivato a capirli proprio bene e quindi a ripensarli e riformularli molto liberamente. Infatti, nel suo trovare parole nuove per formulare pensieri in larga misura riconoscibili, Melisso ha sfrondato molto11 11 Sedley (1999, 125) ha parlato di «unadorned Ionian prose, words away from Parmenides’ high flow of poetic obscurities»; Mansfeld (2016, 75) ha scritto che Melisso «strips Parmenides’ account of its wonderful mystagogical, rhetorical, and psychological paraphernalia». Ma se ha inventato ex novo modi di dire all’incirca le stesse cose che sono ‘words away’, se alla presentazione di idee molto simili ha saputo dare una forma visibilmente innovativa, va da sé che Melisso non si sia limitato a lasciar cadere dei paraphernalia, infatti li ha rimpiazzati. e aggiunto molto. Il nuovo, sempre sotto il profilo della forma del ragionamento, riguarda la cura nell’analizzare le nozioni immesse o da immettere in circolo, individuando nuovi grappoli di demonstranda, il frequente ricorso ai cosiddetti condizionali,12 12 Sui condizionali in Melisso v. ora Marcacci (2020). e anche la ricerca di una comunicazione assolutamente piana e lineare.

Si vengono con ciò moltiplicando gli indizi per pensare che, su un punto specifico, la dimostrazione tentata da Parmenide in B8.1-33, Melisso - e nessun altro, all’epoca - ha provato a fare meglio, fra l’altro facendo a meno di esametri, di omerismi, della dea, del proemio, degli accorgimenti introdotti dall’eleate per movimentare un poco il flusso di versi, e soprattutto del sapere naturalistico. Ora questo suo tentare di riproporre certe idee di Parmenide in maniera più ‘pulita’ (perché sgombra di una intera serie di elementi accessori), e questo in un passaggio particolarmente denso, non è soltanto qualcosa di osservabile. Di fatto, Melisso si trova a attirare l’attenzione su quel passo, a asserire (con fondamento) di avere ben capito qualcosa su cui tutti gli altri erano passati e stavano passando con mano leggera, di ripetere l’esperimento su nuove basi, su più larga scala e con una ‘strumentazione’ già decisamente più funzionale, di dare prova della propria eccellenza (oltre che di quella del suo mentore) e, buon ultimo, di mettere i propri lettori in condizione di capire un pensiero, quello di Parmenide, che altrimenti sarebbe risultato poco meno che inaccessibile13 13 Credo che, se proviamo a guardare al poema a partire dalla cultura degli suoi primi lettori (Empedocle, per esempio), ci rendiamo subito conto che è possibile echeggiare questo o quell’esametro, ma capire il suo pensiero è impresa difficilissima, proibitiva per molti o tutti i contemporanei di Melisso. . Insomma porta con sé molti messaggi di contorno, confermati dal fatto che anche negli altri frammenti si osserva un modo riconoscibilmente melissiano di costruire argomenti, ricorrendo con significativa frequenza alla congiunzione ei e alla particella modale an, che variamente concorrono a modulare enunciati di tipo condizionale, ipotetico o controfattuale.

3.2.

Giunge così il momento di tentare una comparazione. Melisso ha fatto qualcosa che altri suoi contemporanei non fecero, anzi ha notato qualcosa che gli altri non avevano notato o, per dirla con Patricia O’Grady (2002, 201), ha osservato qualcosa che gli altri avevano solo visto.

Chi sono questi altri? Sicuramente si tratta, in primo luogo, dei cosiddetti pluralisti: Empedocle, Anassagora, Leucippo e poi Democrito. In chi si occupa di questi intellettuali è facilmente osservabile la tendenza a amplificare la portata dei loro riferimenti a Parmenide, quasi che le idee del maestro fossero state determinanti nella costruzione del loro insegnamento. Ovviamente non posso qui diffondermi su un argomento che mi porterebbe molto lontano,14 14 Qualcosa di più sull’argomento ho proposto in Rossetti (2020 b) [sez. I.2 (A) del secondo capitolo]. ma posso almeno chiedere: che idea ci faremmo di Parmenide, se potessimo contare unicamente su ciò che emerge dalle informazioni concernenti questi personaggi? Siccome non comparirebbe la parola essere, non verrebbe evocata la forza del ragionamento che ‘costringe’ e non comparirebbe nessuna ‘dimostrazione’, dall’insieme di quelle informazioni verrebbe fuori un’immagine quanto mai sbiadita dell’eleate. Ma proviamo a chiederci, invece, che idea ci faremmo di Parmenide, se sapessimo che Melisso, anche senza dirlo, di fatto ha ripercorso certe sue idee sull’essere con un buon livello di competenza e fedeltà. La risposta è eloquente: del Parmenide ‘ontologo’ ci faremmo un’idea di gran lunga più precisa. Melisso condivide invece con i pluralisti il silenzio sul proemio e sulla dea.

Per l’appunto, da quando è stato disponibile il libro di Melisso, se da un lato è calato il silenzio sulla sezione naturalistica del poema, nonché sul proemio e sulla dea, dall’altro l’intelligibilità di, e l’interesse per, la trattazione parmenidea sull’essere ha subito un’evidente impennata. Noi ne vediamo tracce significative in Gorgia, poi in Euclide megarico (che dovette avere qualche anno in più di Platone, se questi poté recarsi a vivere da lui, a Megara, in anni prossimi al processo del 399), poi in Platone, e intanto un pochino anche nell’ippocratico Polibo e in Isocrate, se non anche in altri sul conto dei quali non siamo informati. E capiamo perché questo è accaduto: perché malgrado i suoi limiti e malgrado le differenze, il libro di Melisso era infinitamente più accessibile del poema parmenideo,15 15 Mi pare significativo che in Theaet. 183e si possa dire: “di fronte a Melisso mi vergogno (molto) meno che di fronte a Parmenide”. e fu quindi considerato, di fatto, un intermediario insostituibile, quindi prezioso, insomma una impagabile chiave di accesso. Chiaramente quella appena formulata è una congettura, e non possiamo pretendere di avere la certezza al riguardo, ma è una congettura che si impone per esclusione. Infatti soltanto Melisso ha offerto una decodifica mediamente accurata - e fortemente semplificata - dell’insegnamento sull’essere mentre decideva di non prestare nessuna attenzione al proemio, nessuna attenzione ai temi affrontati nei frammenti 2-7 e nessuna attenzione alla totalità degli insegnamenti di carattere naturalistico.

Otteniamo, del resto, lo stesso risultato se ci chiediamo come mai, trascorsa la stagione dei cosiddetti pluralisti, gran parte (o la totalità) di coloro che si sono interessati alla dottrina dell’essere dimostrano, al tempo stesso, di avere sviluppato un interesse circoscritto a quella dottrina, tanto da riservare un’attenzione prossima o pari a zero a tutti gli altri insegnamenti di Parmenide. Una sola spiegazione è disponibile, se non erro: perché il libro di Melisso si leggeva con una certa facilità ed era di straordinario aiuto per penetrare nel territorio iperprotetto della prima formulazione della dottrina dell’essere, per cui molti lettori ne fecero una risorsa indispensabile per capire almeno qualcosa di quel particolare insegnamento dell’eleate. Per tutto il resto del poema parmenideo, invece, non fu disponibile nessun ‘aiuto a capire’ che fosse in grado di svolgere una funzione comparabile, e di conseguenza per un po’ si è fatto come se tutto il resto (tutti gli altri temi trattati nel corso del poema) non esistesse.

Ho già avuto modo di far presente che la competente e chiara riformulazione di insegnamenti parmenidei ad opera di Melisso non concerne gran parte del poema, e nemmeno l’intera sezione sull’essere ma, di fatto, poco più di B8.1-33. Osservo ora che riuscire a capire proprio bene una delle sezioni più impegnative del poema, e a darne un’idea ad alto tasso di intelligibilità, fu, a mio avviso, un’impresa di gran pregio, tale da costituire un’eccellenza per l’intellettualità greca del V secolo a.C. Infatti non si ha notizia di nessun altro studio di idee altrui che abbia dato luogo a risultati di così buon livello. In effetti, lo scritto di Melisso presuppone uno studio più che approfondito di un particolare insegnamento di Parmenide, così approfondito da potersi dire un evento più che raro.

E già in questo senso si può ben dire che anche Melisso abbia saputo fare un bel passo avanti rispetto a Parmenide.

3.3.

Ma ci sono anche altri aspetti da considerare. Ribadisco, per cominciare, che stiamo parlando della riscrittura (quindi della riconfigurazione formale e, in certa misura, sostanziale) di un percorso deduttivo già delineato, che non viene peraltro ripetuto in modo meccanico o pedissequo, perché Melisso manifestamente ripensa e riorganizza il ragionamento. In B7, per esempio, introduce il riferimento al vuoto e alla possibilità che l’essere soffra. Anche il quadro dei demonstranda include nuove tesi o nuovi corollari da sottoporre ad apposita deduzione, e ciò significa che la ‘macchina deduttiva’ è disponibile e la si vuole impiegare al meglio, dando prova di acquisita familiarità con il procedimento. In questo senso lo schema proposto nella sezione 2.2. di queste note, e le sue possibili alternative, sono una risorsa pienamente disponibile e un’eccellenza da esibire. Siamo perciò in condizione di presumere che, per quanto attiene alla forma del dedurre, Melisso abbia fatto un bel passo avanti e ne sia stato ben consapevole.

Invece, quanto alla costruzione di un nucleo teorico, gli indizi di autonomo ripensamento delle idee di Parmenide sull’essere sono molteplici e non confinati alla questione dell’infinitezza,16 16 Una vasta e competente panoramica viene offerta in Pulpito (2018); v. anche Marcacci (2020). e ciò significa che simili prese di distanza si cumulano (o meglio: si integrano) con le innovazioni concernenti quel modo di argomentare per il quale non fu trovato un nome né allora né in seguito. Per tutte queste ragioni è verosimile che quel libro prodotto a Samo si sia configurato come una chiave d’accesso, non utilissima ma indispensabile per cominciare a farsi un’idea di certi astrusi insegnamenti di Parmenide, quindi per accedere al fin troppo protetto, ma anche per questo affascinante, scrigno costituito dalla dottrina parmenidea dell’essere.

Per queste ragioni, la decodifica melissiana non fu priva di ‘effetti collaterali’. Infatti ha favorito una percezione seriamente distorta dell’insegnamento di Parmenide nel suo complesso e nella varietà dei suoi temi, con emarginazione del Parmenide naturalista (su cui è finito per cadere un silenzio spesso tombale) e, sull’altro versante, una forte assimilazione di Parmenide a Melisso che ha comportato non pochi effetti collaterali: l’attribuzione alla dottrina parmenidea di un importante risvolto sistemico che, almeno a mio avviso,17 17 Su questo punto mi sono diffuso in Rossetti 2017 e, di nuovo, in Rossetti (2020), per cui riterrei di non dover più ritornare sull’argomento. non è presente nel poema, un impegnativo - anzi, disturbante - pensiero sulle percezioni e quindi sul mondo che è stato sistematicamente (ma anche incautamente) esteso al maestro di Elea, il monismo e forse anche altro. In effetti la decodifica melissiana è rimbalzata su Parmenide e ne ha ostacolato la comprensione in modi molto seri, modi che sono ancora lontani dall’essere pienamente riconosciuti dalla comunità scientifica.18 18 Mi pare significativo che Brémond 2017 e Brémond 2019 facciano ancora qualche difficoltà a rappresentarsi la distanza di Melisso da Parmenide e da Gorgia.

Ferme restando dunque le tante differenze, ora vistose ora quasi invisibili che marcano la distanza tra il maestro di Samo e quello di Elea, direi che a Melisso si possa attribuire un netto avanzamento e un’apprezzabile creatività nel prendere confidenza con forme standardizzate di organizzazione delle dimostrazioni sulla base del modello parmenideo e secondo modalità che indubbiamente già ‘guardano’ verso gli Elementi di Euclide (certamente non verso l’Organon di Aristotele).

4. Gorgia meglio di Parmenide, di Zenone e di Melisso?

4.1.

Sulla fase in cui l’impegnativo libro di Melisso cominciò a circolare, dunque sul suo possibile impatto, sappiamo qualcosa in modo così indiretto da aver indotto molti a rinunciare ad ogni tentativo di farsene un’idea. Ma ci sono solide ragioni per pensare che, una volta tanto, la via indiretta permette di capire non poco di ciò che è verosimilmente accaduto. Mi riferisco, va da sé, al Peri tou me ontos (PTMO) di Gorgia, libro non pervenuto ma sul conto del quale si ha la ventura di sapere più di qualcosa per le ragioni che vado a esporre.

L’opera è strepitosa già nel titolo (“Sul non essere”, con intenzionale rovesciamento del titolo del libro di Melisso).19 19 Il libro di Melisso ci è stato tramandato con il titolo Peri physeos e peri tou ontos; il libro di Gorgia con il titolo Peri tou me ontos e peri physeos. I due titoli sono così studiati e così appropriati da farci escludere l’eventualità che non si debbano ai rispettivi autori, tanto più che nessuna delle due opere ha goduto, in età ellenistica, di particolare fortuna (tutt’altro!). In effetti, il PTMO notoriamente ruota attorno a tre demonstranda: (1) che nulla esiste; (2) che, quand’anche qualcosa esistesse, ciò sarebbe inconoscibile; (3) che, quand’anche qualcosa esistesse e fosse conoscibile, questa conoscenza non sarebbe comunicabile. Fa una certa impressione la possibilità di congetturare che l’opera proponesse un approccio dissacratorio a tre diversi e ugualmente fondamentali ambiti del sapere filosofico: l’ontologia, l’epistemologia (eventualmente la ‘filosofia critica’ ideata da Kant) e la teoria della comunicazione. Ma non è possibile intendere in questo modo per la semplice ragione che la prima di queste aree di ricerca si era appena venuta delineando grazie a Melisso, ma senza ancora disporre di nozioni chiave come ‘filosofia’, ‘metafisica’, ‘ontologia’, ‘logica’ e ‘contraddizione’; che qualche embrione di epistemologia prese forma solo in età ellenistica e che la teoria della comunicazione, in quanto distinta dalla retorica, è solo moderna. In ogni caso i tre demonstranda, essendo così estremi, non si possono prendere alla lettera. Gorgia deve necessariamente aver voluto stupire con la drasticità di simili pretese, non senza lasciar intendere che egli affermava e proclamava, ma senza erigere nessuno dei tre enunciati in espressione autentica delle sue convinzioni. Come nelle antilogie, anche in questo caso l’autore si è mantenuto rigorosamente dietro le quinte, e anche questa circostanza, come altre, ci dice che l’opera dovette essere estremamente creativa.

Il PTMO ci è noto, dicevo, solo per via indiretta, grazie a due dettagliati riassunti che sono sì molto diversi, ma anche complementari, e che danno prova di essere stati preparati, tutti e due, con rara competenza. Troviamo una delle due sintesi in uno scritto che, nel Corpus Aristotelicum, compare subito prima della Metafisica, e che per convenzione viene intitolato De Melisso Xenophane Gorgia (MXG). La sezione dedicata al PTMO occupa i capitoli 5 e 6.20 20 “Per convenzione” in quanto I codici danno, come titolo, De Xenophane Zenone Gorgia, dove il riferimento a Zenone è manifestamente non appropriato. Si è lungamente discusso se possa essere opera di Aristotele e, di recente, sono emersi indizi significativi per escluderlo (Brémond, 2017, p. 71 e 94 ). L’altra è incastonata nell’ammirevole excursus sui presocratici (e poi sui filosofi) che figura in Sesto Empirico, Adverus Mathematicos, VII 46-262 (ai § 65-87).21 21 Riferisco inoltre che il Peri tou me ontos fu scritto forse anteriormente al 427 a.C., data dell’arrivo - o se si preferisce, del ‘rumoroso’ ingresso in scena - di Gorgia ad Atene. Tuttavia al riguardo non disponiamo di nulla che possa chiamarsi informazione. Il riassunto incluso in Sesto Emp. Adv. Math. VII figura già nella sezione su Gorgia del Diels-Kranz; l’altro ha avuto una vita più travagliata: è rimasto fuori dal Diels-Kranz e ora figura, inutilmente frammentato, in Laks-Most (2016), dove le due presentazioni costituiscono le sezioni 32D26a e 32D26b. Molto più funzionale è l’accurata trascrizione, con traduzione a fronte e utili note, che figura in Mazzara (1999, p. 208-217). Combinati insieme, hanno il raro pregio di darci un’idea piuttosto circostanziata di ciò che Gorgia ebbe modo di prospettare.

Delle tre sub-trattazioni, qui ovviamente interessa soltanto la prima, che è anche la meglio documentata. Nella cornice di un’attitudine volutamente (anzi, esageratamente) dissacratoria, Gorgia probabilmente cominciava con l’addurre che, se qualcosa esiste, o è essere, o è non essere o è essere-e-non-essere, ma non è né essere né non essere né una combinazione di essere e non essere. Questo è detto esplicitamente, ma in breve, nel riassunto di Sesto (§ 66) e più ampiamente all’inizio della sezione gorgiana di MXG.

Dimostrare che nulla esiste alla maniera di Melisso, per Gorgia significa (non potrebbe essere diversamente) proporsi di sostenere una tesi diametralmente opposta alla sua e dimostrare che le idee di Melisso non si reggono, ma farlo seguendo da vicino il modo melissiano di argomentare, sia pure al solo scopo di destrutturarlo.

Andiamo ora a vedere cosa Gorgia ha escogitato per scalfire, se non altro, un edificio che in seguito è stato comunemente ritenuto non inattaccabile ma comunque molto solido, molto ben difeso. A dircelo con sorprendente chiarezza è soprattutto il riassunto sestano:22 22 Il riassunto che figura in Sesto Emp. dedica all’argomento il § 67; MXG ne parla in modi non così nitidi. il grimaldello di Gorgia è consistito nel sostenere che anche il non-essere a suo modo è, perché si può ammettere che non sia (sulla base dei ragionamenti cari a Parmenide e Melisso) ma, è pur sempre (identificato come) il non essere e quindi, a suo modo, in questa forma esiste.

Nelle mani di Gorgia la distanza tra essere e non essere si è dunque poco meno che azzerata. Ciò che, a quanto pare, Gorgia non riesce a dire è in che senso l’inesistente esiste: gli mancano le parole, in particolare gli manca, e comprensibilmente, la nozione di esistenza noetica,23 23 Infatti non ha idea delle idee di Platone, e tanto meno della Gegenstandstheorie (“teoria degli oggetti“) elaborata da Alexius Meinong (1904). Ricordo che, secondo Meinong, tra gli oggetti esistenti figurano anche innumerevoli oggetti meramente mentali, come il quadrato rotondo, Euriclea che riconosce Odisseo da una cicatrice, la cognata, il comunismo e ora gli hashtag, gli asintomatici, il distanziamento e molto, moltissimo altro. Notoriamente Platone non si era spinto così lontano. Si era solo chiesto se ci potesse essere l’idea di melma. a titolo di cosa che abbiamo ben identificato con la mente e di cui sappiamo parlare con cognizione di causa. Ciò è sufficiente per concludere che il non essere innegabilmente esiste almeno a questo titolo e in questa forma.24 24 Del negativo abbiamo spesso bisogno per circoscrivere l’ambito del positivo. Provo a fare un esempio: notare ciò che Eraclito non ha saputo fare - in part. che, diversamente da ogni altro presocratico, si è dimostrato sostanzialmente incapace di elaborare insegnamenti positivi, da ‘scienziato’, preferendo indulgere nella ricerca di molti modi per suggerire ed evocare l’idea centrale che lo appassiona - è addirittura essenziale, a mio avviso, per rendere conto correttamente della sua opera. In effetti lo stesso Melisso e lo stesso Parmenide hanno parlato del non essere con cognizione di causa, infatti pretesero di indurre anche noi a pensare che il non essere non esiste per niente e da nessun punto di vista. Incautamente, i due hanno deposto a favore di ciò che si affannavano a negare (insomma, a favore di Gorgia).

4.2.

Non è poco! Siamo indotti a pensare che Gorgia non dovette limitarsi a adottare un approccio giocoso e allestire una mera demolizione parodistica (cioè da non prendere sul serio, o almeno non troppo sul serio) di nobili insegnamenti ‘eleatici’, ma fu in grado di individuale, mettere a fuoco e demolire la premessa fondamentalissima, quella senza della quale nessun corpus dottrinale basato sulla supposta assolutezza dell’essere avrebbe potuto prendere forma. In effetti va a destabilizzare proprio la fase di decollo della dottrina dell’essere, la “Governing Deduction” cara a Wedin. Ecco dunque che Gorgia si trova a attuare una decisiva Überwindung che, oltretutto, è perfettamente in grado di reggere il confronto con gli argomenti che, più di mezzo secolo dopo, saranno addotti da Platone nel Sofista come ultima ratio per non rimanere prigioniero dell’ortodossia eleatica. Sicché di nuovo compare qualcuno che può ‘fare meglio’ di Parmenide, e si ammetterà che questo è un risultato largamente inatteso.

Riesco forse a chiarire meglio questo punto se ricordo che in Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone (2015) Giovanni Casertano CASERTANO, G. (2015). Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone. In: GAMBETTI, F.; GIOMBINI, S. (eds) Eleatica 2011. Sankt Augustin, Academia Verlag.ha molto insistito nel presumere che Protagora avrebbe accettato il principio parmenideo del rapporto diretto tra essere, pensare e dire, ma ne avrebbe contestato le conseguenze: «mentre per Parmenide … esiste un solo discorso vero, per Protagora tutti i discorsi sono veri, e di conseguenza, come affermeranno poi Platone e Aristotele, contemporaneamente anche falsi».25 25 Così sintetizzano il suo pensiero Gambetti e Giombini nella sezione introduttiva del volume (2015, 28). Nello svolgere questi pensieri, Casertano si è soffermato anche sul PTMO gorgiano, ma per valorizzare la sola frattura tra essere e pensare, tra realtà e conoscenza, sorvolando invece sulla prima parte, dove campeggia l’avvenuta individuazione di un tallone di Achille molto più specifico: la fragilità dell’affermazione secondo cui ‘il non essere non c’è’. Al confronto, la supposta identità di essere-pensare-dire viene comunemente affermata sulla base di tre gruppi di esametri parmenidei (B3, B6.1 e B8.34-37) nei quali si devono probabilmente ravvisare degli ingredienti inessenziali della dottrina dell’essere. Infatti discutere di essere, pensiero e parola ed eventualmente dissentire da Parmenide a questo riguardo non ha nulla di destabilizzante per la dottrina dell’essere, mentre ben altra è la portata del rilievo fatto dal solo Gorgia.

Il maestro di Leontini ci appare dunque del tutto decondizionato dal primo assunto parmenideo (che Melisso invece recepisce) e in grado di procedere al suo effettivo smantellamento, operazione alla quale, peraltro, egli sembra essersi limitato a mettere mano con fare semiserio. Ma se pensiamo agli sviluppi che la dottrina dell’essere ha avuto, alla metafisica e all’ontologia che, non senza molte mediazioni, ne sono derivate, al mito heideggeriano dell’essere e anche alla convinzione che la parola ‘essere’ evochi una dimensione fondamentale (o universalissima) della realtà, dunque qualcosa che dovrebbe pur esserci in ogni lingu,26 26 Mi pare significativo evocare, sull’onda della presunzione di universalità della nozione di essere, che Barbara Cassin ha introdotto nel titolo di un suo libro l’espressione “Le grec, langue de l’être?” (Cassin, 1998), che Bernabé e Mendoza (2019) hanno recentemente segnalato la presenza di un valido corrispondente di essere-ente nel sanscrito, e che la constatazione dell’apparente assenza di questa nozione in cinese è potuta diventare un problema risolto, mi si assicura, con la sua identificazione nell’ideogramma 是 (Shi) (Yu, 1999; Bunnin-Yu, 2002, p. 112 s.). capiamo che l’intuizione di Gorgia era dotata di un potenziale davvero cospicuo, solo che a tutt’oggi la ‘bomba’ costituita da questa sua idea è semplicemente rimasta ‘inesplosa’.

Se ora consideriamo che la tesi dell’inesistenza del nulla è ben presente in Parmenide, mentre Melisso sembra limitarsi a presupporla, comprendiamo che anche Gorgia ha saputo fare un passo significativo oltre Parmenide, ma non scavando sulla forma delle dimostrazioni, bensì lavorando su un contenuto molto preciso (o su una intera serie di contenuti, se davvero la disamina gorgiana procedeva difendendo la tesi dell’inesistenza anche a partire dalla qualifica di ingenerato, poi di uno, poi di immobile, poi di indivisibile (MXG 6.979b20-980a8).

Di riflesso si chiarisce che i due riassunti a noi pervenuti si rivelano tutt’altro che incompetenti, che il libro di Melisso venne studiato più che attentamente da Gorgia, non senza risalire anche al libro di Parmenide e a quello di Zenone, e che il taglio semiserio che egli diede al PTMO non è per nulla indizio di superficialità.

5. Note conclusive

Si conclude qui un giro d’orizzonte che ha permesso di vedere da vicino tre intellettuali di rango del V secolo a.C. - Zenone, Melisso e Gorgia - mentre si misurano con un maestro, Parmenide, e si adoperano per non essere da meno, anzi per fare persino meglio (non in tutto, almeno in qualcosa!). L’impresa era ardua e solo questi tre, nel V secolo, hanno provato a confrontarsi con l’eleate facendosi la necessaria competenza specifica. E i frutti non sono mancati.

Invece se, detto questo, diamo uno sguardo al secolo successivo, veramente si ha l’impressione di ritrovarci nelle nebbie, se è vero che Platone ha scritto di Parmenide con grande enfasi, ma non ha nemmeno provato a lavorare sulle strutture formali sulla scia di Melisso e, al confronto con Gorgia, ha fatto decisamente meno di lui. Dopodiché le cose sono solo peggiorate, se non sbaglio.27 27 Nel redigere queste pagine mi sono molto giovato del confronto con Giuseppe Mazzara e con Marco Montagnino (entrambi espressione dell’Università di Palermo), oltreché con uno dei curatori del gruppo di articoli nel quale il mio è stato accolto.

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  • YU, J. (1999). The Language of Being: Between Aristotle and Chinese Philosophy. International Philosophical Quarterly 39, p. 439-454.
  • 1
    In realtà anche con riferimento ai frammenti di Melisso (in part. al fr. 7 DK).
  • 2
    Marcacci ha appena parlato di “impianto argomentativo”.
  • 3
    Sull’argomento v. Napoli (2012NAPOLI, V. (2012). Le denominazioni della Metafisica e della sua scienza nella filosofia tardoantica. Peitho Examina Antiqua 3, p. 51-82.).
  • 4
    Al riguardo occorre ovviamente tener presente che oulomeles compete, per così dire, con oulon mounogenes. Un passaggio decisivo nella discussione sulle ragioni per preferire la dicitura oulomeles è costituito da Untersteiner (1955UNTERSTEINER, M. (1955). L’essere di Parmenide è oulon, non en. Rivista Critica di Storia della Filosofia 10, p. 5-23.).
  • 5
    L’insieme non è propriamente legato a una particolare disciplina perché si configura come una modalità di organizzazione del sapere, quindi come una particolarissima strategia comunicazionale. Cf. Rossetti 2016ROSSETTI, L. (2016). Verso una rhetorica universalis. Φιλοσοφια 46, p. 27-48..
  • 6
    Spesso si parla dell’insegnamento di Parmenide al singolare, ma faccio difficoltà a condividere questo atteggiamento, perché in realtà gli insegnamenti di Parmenide sono molti. Ho provato a dimostrarlo con l’inventario offerto nel primo capitolo di Rossetti (2017).
  • 7
    Se l’obiettivo era di individuare una forma di oltrepassamento dei traguardi raggiunti da Parmenide, l’obiettivo è stato raggiunto sulla base della più sicura delle evidenze testuali disponibili, e al momento non c’è motivo di spingersi oltre.
  • 8
    Ho proposto una diversa resa grafica del medesimo schema in Rossetti (2020ROSSETTI, L. (2020a). Parmenide e Zenone sophoi ad Elea. Pistoia, Petite Plaisance.a), alquanto fugacemente, e in Rossetti (2020ROSSETTI, L. (2020b). Verso la filosofia. Nuove prospettive su Parmenide, Zenone e Melisso. Baden Baden, Academia Verlag .b), con un po’ di maggiore cura.
  • 9
    L’argomento è stato oggetto di dibattito a partire da Untersteiner (1958UNTERSTEINER, M. (1955). L’essere di Parmenide è oulon, non en. Rivista Critica di Storia della Filosofia 10, p. 5-23.) e Barnes (1979BARNES, J. (1979). Parmenides and the Eleatic One. Archiv für Geschichte der Philosophie 61, p. 1-21.). Tra le voci successive ricorderò Finkelberg (1988FINKELBERG, A. (1988). Parmenides: Between Material and Logical Monism. Archiv für Geschichte der Philosophie 70, p. 1-14.), Cherubin (2003CHERUBIN, R. (2003). Inquiry and What Is: Eleatics and Monisms, Epoché 8, p. 1-26.), Curd (2004CURD, P. (2004). The Legacy of Parmenides. Eleatic Monism and Later Presocratic Thought. Las Vegas, Parmenides Pub (1 ed. Princeton, 1998).), Cordero (2004CORDERO, N.-L. (2004). By Being, It Is. The Thesis of Parmenides. Las Vegas, Parmenides Pub.), Palmer (2009PALMER, J. (2009). Parmenides and Presocratic Philosophy. New York, Oxford University Press.), Pulpito (2010PULPITO, M. (2010). Monismo predicazionale. Sui limiti di un’interpretazione epistemologica dell’eleatismo. Méthexis 23, p. , 5-33.).
  • 10
    Il passo figura in Phys. I 3, 186a9; c’è poi il mikron agroikoteroi riferito a Senofane e Melisso in Metaph. I 5, 986b26 s. (= 30A7 DK = 21R4-5 LM).
  • 11
    Sedley (1999SEDLEY, D. (1999). Parmenides and Melissus. In: LONG, A.A. (ed.) The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy. Cambridge, Cambridge University Press, p. 113-133., 125) ha parlato di «unadorned Ionian prose, words away from Parmenides’ high flow of poetic obscurities»; Mansfeld (2016MANSFELD, J. (2016). Melissus Between Miletus and Elea. In: PULITO, M. (ed.) Eleatica 5. Sankt Augustin, Academia Verlag ., 75) ha scritto che Melisso «strips Parmenides’ account of its wonderful mystagogical, rhetorical, and psychological paraphernalia». Ma se ha inventato ex novo modi di dire all’incirca le stesse cose che sono ‘words away’, se alla presentazione di idee molto simili ha saputo dare una forma visibilmente innovativa, va da sé che Melisso non si sia limitato a lasciar cadere dei paraphernalia, infatti li ha rimpiazzati.
  • 12
    Sui condizionali in Melisso v. ora Marcacci (2020MARCACCI, F. (2020). Argumentation and counterfactual reasoning in Parmenides and Melissus. Archai 30, p. 1-30.).
  • 13
    Credo che, se proviamo a guardare al poema a partire dalla cultura degli suoi primi lettori (Empedocle, per esempio), ci rendiamo subito conto che è possibile echeggiare questo o quell’esametro, ma capire il suo pensiero è impresa difficilissima, proibitiva per molti o tutti i contemporanei di Melisso.
  • 14
    Qualcosa di più sull’argomento ho proposto in Rossetti (2020ROSSETTI, L. (2020b). Verso la filosofia. Nuove prospettive su Parmenide, Zenone e Melisso. Baden Baden, Academia Verlag . b) [sez. I.2 (A) del secondo capitolo].
  • 15
    Mi pare significativo che in Theaet. 183e si possa dire: “di fronte a Melisso mi vergogno (molto) meno che di fronte a Parmenide”.
  • 16
    Una vasta e competente panoramica viene offerta in Pulpito (2018PULPITO, M. (2018). Melisso critico di Parmenide: una rivalità mimetica. Archai 22, p. 17-40.); v. anche Marcacci (2020MARCACCI, F. (2020). Argumentation and counterfactual reasoning in Parmenides and Melissus. Archai 30, p. 1-30.).
  • 17
    Su questo punto mi sono diffuso in Rossetti 2017 e, di nuovo, in Rossetti (2020ROSSETTI, L. (2020a). Parmenide e Zenone sophoi ad Elea. Pistoia, Petite Plaisance.), per cui riterrei di non dover più ritornare sull’argomento.
  • 18
    Mi pare significativo che Brémond 2017 BREMOND, M. (2017). Lectures de Mélissos. Èdition, traduction et interpretation des témoignages sur Mélissus de Samos. Berlin-Boston, De Gruyter.e Brémond 2019BREMOND, M. (2019). Mélissos, Gorgias et Platon dans la première hypothèse du Parménide. Revue de philosophie ancienne 37, p. 61-99. facciano ancora qualche difficoltà a rappresentarsi la distanza di Melisso da Parmenide e da Gorgia.
  • 19
    Il libro di Melisso ci è stato tramandato con il titolo Peri physeos e peri tou ontos; il libro di Gorgia con il titolo Peri tou me ontos e peri physeos. I due titoli sono così studiati e così appropriati da farci escludere l’eventualità che non si debbano ai rispettivi autori, tanto più che nessuna delle due opere ha goduto, in età ellenistica, di particolare fortuna (tutt’altro!).
  • 20
    “Per convenzione” in quanto I codici danno, come titolo, De Xenophane Zenone Gorgia, dove il riferimento a Zenone è manifestamente non appropriato. Si è lungamente discusso se possa essere opera di Aristotele e, di recente, sono emersi indizi significativi per escluderlo (Brémond, 2017BREMOND, M. (2017). Lectures de Mélissos. Èdition, traduction et interpretation des témoignages sur Mélissus de Samos. Berlin-Boston, De Gruyter., p. 71 e 94 ).
  • 21
    Riferisco inoltre che il Peri tou me ontos fu scritto forse anteriormente al 427 a.C., data dell’arrivo - o se si preferisce, del ‘rumoroso’ ingresso in scena - di Gorgia ad Atene. Tuttavia al riguardo non disponiamo di nulla che possa chiamarsi informazione. Il riassunto incluso in Sesto Emp. Adv. Math. VII figura già nella sezione su Gorgia del Diels-Kranz; l’altro ha avuto una vita più travagliata: è rimasto fuori dal Diels-Kranz e ora figura, inutilmente frammentato, in Laks-Most (2016LAKS, A.; MOST, G. (2016). Les débuts de la philosophie, des premiers penseurs grecs à Socrate. Paris, Fayard.), dove le due presentazioni costituiscono le sezioni 32D26a e 32D26b. Molto più funzionale è l’accurata trascrizione, con traduzione a fronte e utili note, che figura in Mazzara (1999MAZZARA, G. (1999). Gorgia. La retorica del verosimile, Sankt Augustin, Academia Verlag ., p. 208-217).
  • 22
    Il riassunto che figura in Sesto Emp. dedica all’argomento il § 67; MXG ne parla in modi non così nitidi.
  • 23
    Infatti non ha idea delle idee di Platone, e tanto meno della Gegenstandstheorie (“teoria degli oggetti“) elaborata da Alexius Meinong (1904MEINONG, A. (1904). Untersuchungen zur Gegenstandstheorie und Psychologie. Leipzig, J. Barth. ). Ricordo che, secondo Meinong, tra gli oggetti esistenti figurano anche innumerevoli oggetti meramente mentali, come il quadrato rotondo, Euriclea che riconosce Odisseo da una cicatrice, la cognata, il comunismo e ora gli hashtag, gli asintomatici, il distanziamento e molto, moltissimo altro. Notoriamente Platone non si era spinto così lontano. Si era solo chiesto se ci potesse essere l’idea di melma.
  • 24
    Del negativo abbiamo spesso bisogno per circoscrivere l’ambito del positivo. Provo a fare un esempio: notare ciò che Eraclito non ha saputo fare - in part. che, diversamente da ogni altro presocratico, si è dimostrato sostanzialmente incapace di elaborare insegnamenti positivi, da ‘scienziato’, preferendo indulgere nella ricerca di molti modi per suggerire ed evocare l’idea centrale che lo appassiona - è addirittura essenziale, a mio avviso, per rendere conto correttamente della sua opera.
  • 25
    Così sintetizzano il suo pensiero Gambetti e Giombini nella sezione introduttiva del volume (2015, 28).
  • 26
    Mi pare significativo evocare, sull’onda della presunzione di universalità della nozione di essere, che Barbara Cassin ha introdotto nel titolo di un suo libro l’espressione “Le grec, langue de l’être?” (Cassin, 1998CASSIN, B. (1998). Parménide, Sur la nature ou sur l'étant. Le grec, langue de l'être?. Paris, Éditions du Seuil.), che Bernabé e Mendoza (2019BERNABÉ, A.; MENDOZA, J. (2019). ’Ser’ y ‘no ser’ en el Rig Veda y en Parménides; usos diversos de un mismo recurso. In: BERRUECOS, F.; GIOMBINI, S. (eds.) Eleatica 7. Parmenide: tra linguistica, letteratura e filosofia / Parménides: entre lingüística, literatura y filosofía, Eleatica 7. Baden Baden, Academia Verlag, p. 253-268.) hanno recentemente segnalato la presenza di un valido corrispondente di essere-ente nel sanscrito, e che la constatazione dell’apparente assenza di questa nozione in cinese è potuta diventare un problema risolto, mi si assicura, con la sua identificazione nell’ideogramma 是 (Shi) (Yu, 1999YU, J. (1999). The Language of Being: Between Aristotle and Chinese Philosophy. International Philosophical Quarterly 39, p. 439-454.; Bunnin-Yu, 2002BUNNIN, N.; -YU, J. (2001). Dictionary of Western Philosophy: English-Chinese. Beijing, Wiley & Sons., p. 112 s.).
  • 27
    Nel redigere queste pagine mi sono molto giovato del confronto con Giuseppe Mazzara e con Marco Montagnino (entrambi espressione dell’Università di Palermo), oltreché con uno dei curatori del gruppo di articoli nel quale il mio è stato accolto.

Publication Dates

  • Publication in this collection
    17 Dec 2021
  • Date of issue
    2021

History

  • Received
    01 May 2021
  • Accepted
    01 Aug 2021
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